proteste per la riforma della scuola, le solite zappe sui piedi.

Ok come al solito il ministro della pubblica istruzione ha annunciato la sua riforma epocale della scuola e stavolta l’idea geniale per rendere la scuola italiana la più migliore1 del mondo2 è accorciare di un anno le superiori.

E il dibattito è, guarda caso, soprattutto sul numero di posti di lavoro nella scuola che si perderebbero. Nessuno ha considerato il punto reale della questione ovvero: accorciare di un anno le superiori come si rifletterà sulle capacità e competenze in uscita degli studenti? Usciranno con, più o meno, la stessa preparazione di prima o usciranno meno preparati e capaci?

Se l’anno perso a scuola si traduce in un anno di formazione in più da fare al lavoro o all’università la riforma è perfettamente inutile, si limita a spostare l’onere formativo dallo stato ai privati. Se invece la preparazione degli studenti è la stessa, che escano dalla quarta o dalla quinta per i datori di lavoro  le università è la stessa cosa, allora ci sarebbe da aprire un serio discorso sulla scuola e sui programmi scolastici realmente svolti e sulla loro utilità.

Un problema della scuola è che viene pensata, soprattutto dai sindacati dei docenti, non come uno strumento di formazione ma come uno strumento il cui scopo principale è la distribuzione di buste paga. E questo spiega anche l’autoreferenzialità della scuola ed il fatto che l’alternanza scuola – lavoro sia vista come blasfema. La scuola dovrebbe restare chiusa nella sua torre d’avorio al riparo dalle brutture del mondo. Brutture che sono il richiedere persone capaci e competenti, non pappagalli capaci di recitare alla perfezione tutte le orazioni di cicerone ma incapaci di calcolare una banale percentuale.

Purtroppo la scuola è rimasta l’ultimo “stipendificio”3 visto che il resto della pubblica amministrazione, per amore o per forza, è stato costretto a virare da stipendificio a ente di servizio4. E purtroppo ciò che è avvenuto al resto della PA sta iniziando a capitare anche con la scuola, e, come capitato da altre parti, molti ne usciranno con le ossa frantumate.

Per il resto prima di dirmi d’accordo o meno con la riforma preferirei vedere bene come verranno rimodulati i programmi; meglio poco ma ben fatto che programmi vastissimi dei quali si riesce a fare più o meno un decimo.

 


  1. io sono studiato quindi conoscerebbi la grammatica; mica uso lo scorretto “più meglio”. 
  2. a sentire i docenti che vi insegnano, stipendi a parte, è quella che prepara ottimi studenti talmente capaci che rompono il culo a cinesi, coreani e finlandesi. Basta considerare che i test OCSE PISA son preparati da bildemberg in combutta con la trilaterale al solo scopo di sabotare la scuola italiana. 
  3. Basti vedere gli ultimi due concorsi. Colossali lacune di preparazione degli aspiranti docenti e nonostante ciò in virtù delle graduatorie e che, praticamente, non ci son controlli sulla qualità del lavoro dei docenti, tali aspiranti docenti spesso insegnano e magari alla fine “vincono” il passaggio in ruolo per anzianità di servizio grazie alle mitiche graduatorie della scuola. Graduatorie ove l’unico merito è l’anzianità. 
  4. i concorsi son diventati leggermente più selettivi, non son più possibili “le grandi regolarizzazioni a pioggia”, le norme europee evitano i giochetti “all’italiana” troppo sfacciati. 

Professionalità dei docenti

Sorgente: Prof in congedo dopo 24 ore, la supplente perde il posto. E la preside: “Perché è tornato?” – Cronaca – L’Unione Sarda.it

Ricompare a scuola il 23 dicembre dopo tre mesi di assenza, poi torna in congedo. E così la supplente che lo sostituiva ha perso il posto e la classe è rimasta, di nuovo, senza docente. (…)

 Il neoprofessore aveva ottenuto la cattedra di Diritto per quest’anno scolastico ma sin dal primo giorno, il 12 settembre, non si era presentato “per motivi familiari”.

Per tre mesi gli studenti sono rimasti senza insegnante, finché il 2 dicembre non è arrivata la supplente. “Giovane, entusiasta e coinvolgente”, scrive la dirigente dell’istituto.

Prima delle vacanze di Natale il titolare è tornato, ma solo per 24 ore. Poi è entrato nuovamente in congedo.

La “volenterosa e capace” sostituta, che aveva reso “contenti” gli studenti e “confortato” i genitori, è stata rimandata a casa e, spiega la preside, “ora non si può richiamare”. (…)

Il comportamento del docente è in perfetto accordo con la legge, perciò è legittimo. Però è parimenti vero che tale comportamento è poco professionale in quanto causa dei disagi agli studenti della sua classe costretti a variare più docenti durante l’anno ed ad attendere che vengano trovati i supplenti. E spesso son questi comportamenti “poco professionali” a svilire la scuola ed a far intendere, alle persone non appartenenti al mondo scolastico, che la scuola più che un ente di formazione sia un “bancomat” per chi ha avuto la fortuna, o la testardaggine di entrarci.

La riforma della buona scuola risolve parzialmente queste storture: il docente non è titolare di cattedra in uno specifico istituto ma a disposizione del provveditorato. E questo consente di migliorare, e di molto, la continuità didattica degli studenti. Sarei curioso di sapere, da chi avversa in ogni modo la riforma renzi, quale sia il modo migliore, secondo lui, per evitare il ripetersi di situazioni simili.

Numbers or GTFO

Ho notato che c’è un grande assente nella sceneggiata sulle deportazioni dei docenti in seguito alle assunzioni in ruolo de “la buona scuola”, ovvero i numeri.
Ci si lamenta di doversi spostare e si chiede di rimanere al paese ma nessuno tira fuori un conteggio di quanti docenti servano, diciamo a Cagliari, e di quanti devono partire. Se a Cagliari, per ipotesi, ci son X posti e ci sono Y candidati con Y minore o uguale ad X, spostare una parte di docenti verso altre provincie è una stupidaggine.
Se, sempre per ipotesi, a Cagliari servissero X docenti e in ruolo ci sono Y candidati, con Y molto maggiore di X (Y>>X), che una parte si debba spostare è una banale deduzione matematica.

Beh, nessuno di quelli che protestano ha tirato fuori numeri incontestabili; si lamentano, dicono che esistono i posti anche al sud ma non tirano fuori un numero che uno. E in certi casi, come in questo articolo, propongono sistemi per aumentare artificialmente il numero di posti. Quindi i numeri in realtà non ci sono e le proteste altro non sono che piagnistei.

La vicenda spiega benissimo anche l’avversione verso i numeri da parte di molti, soprattutto i colti umanisti o i sindacalisti; con i numeri è difficile far passare ragionamenti sballati e contrabbandare per vere le supercazzole.

Convincere la gggente a rimanere ignorante

fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/11/cera-una-volta-lesame-di-maturita-oggi-i-promossi-sono-il-995-per-cent/31455/

C’era una volta l’esame di maturità. Passaggio epocale nella vita di ogni giovane, fonte d’ansia per generazioni di studenti. Oggi, almeno a giudicare dagli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione, il conseguimento del diploma preoccupa un po’ meno. Nell’anno scolastico appena terminato, il 99,5 per cento dei maturandi ha ottenuto la promozione. In pratica tutti quelli che sono arrivati davanti alla commissione hanno superato la prova. È andata persino meglio dello scorso anno, quando i promossi erano stati il 99,4 per cento. E così l’esame di Stato cambia aspetto: era un incubo, è diventato una formalità. (…)

Intanto le rilevazioni condotte dal Miur descrivono un quadro fin troppo rassicurante. Altro che scena muta. I bocciati sono sempre meno, aumentano le votazioni più alte, persino il numero di chi si diploma con il massimo dei voti è in crescita. Insomma, gli studenti italiani sono bravi. A tratti bravissimi.

fermandosi qui nella lettura sembra che, nonostante i docenti puntualmente denuncino, sia a ragione che a torto, che la scuola è bistrattata, la scuola funzioni bene e prepari persone valide e formate.

Ma non è tutto oro quello che luccica; come mai i risultati mirabolanti della maturità non son confermati dalle prove invalsi oppure dai risultati dei test per l’ammissione alle università? Test e risultati della maturità disegnano risultati opposti: la provincia dove c’è stato il maggior numero di cento è anche una delle ultime nelle rilevazioni invalsi.

(…)Numeri alla mano, gli studenti italiani sono sempre più preparati. Ma nella realtà è davvero così? Intanto stupisce un dato: i voti migliori si registrano per la maggior parte nel Meridione. La prima regione per risultati scolastici è la Puglia. Qui si sono diplomati con lode 934 studenti, il 2,6 per cento del totale. Segue la Campania, con 713 e la Sicilia con 500. In tutta la Lombardia, per dire, sono solo 300 gli studenti che hanno ottenuto la maturità con 100 e lode. Un terzo dei pugliesi. In Veneto sono ancora meno, 276. E ancora: in tutta Italia gli studenti che hanno raggiunto il 100 rappresentano, in media, il 5,1 per cento del totale. Eppure in Calabria la stessa percentuale sale all’8,3 per cento. Mentre in Friuli Venezia Giulia scende al 3,7 per cento. Non è il caso di puntare il dito su questo o quell’istituto. Con ogni probabilità non ci sono aree del Paese dove si ottengono automaticamente voti più alti. Il tema, semmai, è legato ancora alla troppa discrezionalità, alle diverse valutazioni tra una scuola e un’altra, che rendono meno credibile il voto finale.

La bocciatura serve ancora? Ripetere l’anno aiuta i ragazzi a colmare le proprie lacune, offre uno stimolo a impegnarsi? Oppure, come sostiene più di qualcuno, resta solo un improduttivo – e costoso – retaggio del passato?

La bocciatura serve? direi di sì invece; senza un serio controllo di qualità, corri il rischio che la qualità del prodotto si abbassi senza che tu te ne renda conto. Ma se ne rendono conto i compratori che cominceranno a snobbare il tuo prodotto o non fidarsi più del tuo marchio. Sembra troppo aziendalista? brutalmente: se promuovi anche asini allora l’essere promosso non diventa più una prova dell’essere bravo e capace. E quindi aziende e università non si fideranno del tuo titolo e useranno altri strumenti per verificare le capacità e le competenze. E questo alla fine danneggia chi, povero, si è sbattuto a lavorare più che il figlio di babbo che può ricorrere a ripetizioni varie per colmare le lacune che la scuola gli ha lasciato.

Bisogna smettere di vedere la bocciatura come una punizione, di vederla come un giudizio globale sulla persona: puoi essere una persona meravigliosa e non sapere nulla di matematica, compreso quel minimo che dovrebbe servirti per vivere così come puoi essere una merda e mangiare integrali tripli per colazione. E se io ti dico che non capisci nulla di matematica allora, se hai testa, cerchi di colmare la tua ignoranza. Se invece ti illudo che la matematica si limiti alla tabellina del tre, e tutto il resto è inutile, poi scoprire che per fare il perito informatico serve qualcosa d’altro può essere un trauma.

Il dire che tutti sono bravi, che tutti meritano di essere promossi, illudere la gente di essere dotta è il modo migliore per diffondere l’ignoranza; se io son consapevole della mia ignoranza cerco di colmarla. Se son convinto di essere il non plus ultra dei dottori avrò anche venti o trenta master rilasciati da youtube ma rimango ignorante come una capra. E chiamare “non discriminazione”, “nessuno indietro” l’illudere gli studenti che son dotti invece di far prendere loro consapevolezza della loro ignoranza non è progressismo ma ipocrisia. Oltre ad essere nocivo per loro; se ti rendi conto a 14 anni di essere una capra hai il tempo per riparare, se te ne accorgi a 26 ai primi colloqui di lavoro di non essere quel pozzo di scienza che credi è tardi per rimediare a tutto.  A 30, dopo una sudata laurea triennale in scienze della fuffa teoretica, a meno di non avere un fratello ministro, sei solo carne da call center o attivista per i partiti attiraboccaloni.

promuovere per non discriminare?

sul fatto c’è il solito articolo del maestro, precario, che parla di promuovere gli studenti per non farli sentire discriminati e cita, come al solito don milani. La migliore confutazione della sua tesi l’ha inviata l’utente emastro citando un messaggio di Leonardo Serni.

“Oggi abbiamo bisogno non di bocciature ma di risorse, di “promuovere” chi non ce la fa.”

L’autore si puo’ permettere di dire queste cose per via della sua posizione – seduto davanti a un computer.

Perche’ se la sua posizione fosse diversa, che ne so, disteso, con una forte luce bianca negli occhi e una voce vicino a lui che dice qualcosa come “Oh ragazzi, io ad anatomia proprio non ce la facevo, pero’ mi hanno sempre promosso perche’ i miei professori credevano in me e mi volevano incoraggiare, perche’ era giusto che tutti andassero avanti, anche quelli che non sanno leggere… e poi anche l’Ordine dei Medici ha deciso che il mio amor proprio, la mia autostima, il mio diritto a progredire erano piu’ importanti di quattro stupide tavole anatomiche, insomma io non mi ricordo quali sono i reni e quali i polmoni, magari datemi una mano voi se taglio il pezzo sbagliato, OK? Vabbe’, adesso incido, e che Dio ce la mandi buona…”, ecco, secondo me la penserebbe diversamente
[emastro]

Usare la scuola per diffondere ignoranza

Un popolo ignorante è più facile da governare

Questo slogan trito e ritrito salta fuori ad ogni puntuale protesta del mondo della scuola, studenti, docenti, talvolta genitori, tutte le volte che si parla di riorganizzare, tagliare oppure valutare (l’invalsi figlio del demonio). È una frase vera; l’ignorante lo illudi con due trasmissioni televisive e qualche discorso vacuo infarcito di termini scientifici a supporto di una presunta cura miracolosa, si veda il caso stamina. Il mondo della scuola paradossalmente si è piegato alla richiesta della politica creando un popolo di ignoranti, e peggio di ignoranti irrecuperabili, ignoranti convinti di essere dei grandi dottori, dei nobel, e scandalizzati se qualcosa o qualcuno, fosse anche un freddo computer(1), mette in discussione tale lapalissiana verità. Come ha soddisfatto la richiesta di creare un popolo di ignoranti la scuola? Semplicemente ha preso degli slogan principalmente del ’68, alcuni tutto sommato giusti, e gli ha stravolti affinché gli studenti non solo rimanessero ignoranti ma anzi perdessero consapevolezza della propria ignoranza illudendo loro di essere dei grandi dottori.

Nessuno deve rimanere indietro. invece di interpretarlo come “bisogna fornire agli studenti meno fortunati il supporto affinché abbiano la possibilità di mettersi alla pari” è stato declinato come: “bisogna andare alla velocità del più lento” e pazienza se si saltano parti di programma. Peccato poi che gli esami, reali che poi pone la vita, si basino su tutto il programma e non solo sulla misera parte fatta a lezione. Il brutto è che te ne accorgi dopo che in realtà nessuno è rimasto indietro perché siete tutti indietro. E il resto del mondo è andato avanti.

Diritto al successo formativo. Altro slogan bellissimo ma che invece di venire interpretato come “diamo la possibilità a tutti di formarsi, diversifichiamo l’offerta formativa proponendo il liceo, l’ITS e i corsi professionali” è stato tradotto con un più semplice “diamo otto a tutti”. Questo comportamento accontenta la maggior parte dei ragazzi, tranne forse qualche secchione irrecuperabile che vorrebbe imparare, la maggior parte dei genitori, fa felice il dirigente scolastico perché la scuola non perde alunni e riduce alquanto, ai docenti, le polemiche con i genitori. Generalmente un genitore insoddisfatto perché il pargolo a scuola fa poco non è polemico e violento come qualche altro convinto di avere Einstein come figlio e scandalizzato dal fatto che uno zotico di docente di matematica abbia osato dare un 4 al pupo.  C’è anche da dire che dando otto a tutti i danni, di tale comportamento, verranno rivelati solo quando il pargolo non è più a scuola ma va ad affrontare esami veri ove verrà misurato e valutato, come le preselezioni universitarie o i colloqui di lavoro. 

Sembra che Euclide, alla richiesta di Tolomeo I riguardo ad un modo facile d’apprendere la matematica, avesse risposto “Non c’è una via reale alla geometria”

La cultura deve essere facile. No, deve essere facile l’accesso alla cultura, biblioteche, scuole, libri… l’apprendere è un lavoro che può essere faticoso ma se si vogliono raggiungere risultati bisogna lavorare. Non esistono scorciatoie o vie reali per apprendere le cose, cari studenti, dovete metterci del vostro. Il facilitare l’apprendimento abbassando il livello di difficoltà e contrabbandando per alto livello un livello medio basso significa solo dare alle persone una illusione di competenza. Illusione che quando viene spezzata, ad esempio da una preselezione per l’accesso al corso di laurea in medicina oppure da un ipocrita “le faremo sapere” ai colloqui di lavoro, causa un bel po’ di bruciore nelle parti basse…

Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza [A. Gramsci]

La cultura non si misura. Quella invece è una grossa stupidaggine: la cultura non si misura, vero, ma si valutano e si misurano le competenze e le capacità che la cultura ti deve fornire. Si può valutare quanto sei in grado di compiere ragionamenti logici e discernere fra sillogismi corretti ed errati, quanto sia capace di distinguere in un gruppo di quattro parole il sostantivo dagli altri tre verbi(2). La cultura non si può misurare direttamente ma si possono misurare facilmente gli effetti. In termini informatici si potrebbe dire che non si misura il processo ma si misura l’output. Peccato che le persone di cultura si scaglino veementemente contro qualsiasi tentativo di misurare l’output fosse anche quello approssimativo e grossolano dell’invalsi(3).  Da notare che i sindacati della scuola, proprio quando si parla di valutazione, si concentrano sul processo, su quante ore si usano per fare questo o quello ma non si curano della valutazione del risultato del processo, risultato che a vedere i test ocse giustificherebbe una decimazione del corpo docente.  Cioè se il docente sta X ore alla settimana in classe, Y ore alla settimana a casa a correggere i compiti e Z alla settimana ore a lavorare per la scuola(4)   è stato bravissimissimo, anche se i suoi studenti ritengono, senza ombra di dubbio, che: siccome tutti i gatti sono mortali e socrate è morto allora socrate miagola…

Fossi un aristocratico, ma di quelli tosti, quelli che hanno tutto l’interesse che i figli del popolo rimangano ignoranti come capre farei in questo modo:

  1. Chiunque deve avere diritto al successo quindi la scuola deve diventare facile, ad esempio per avere 10 in matematica basterà conoscere le equazioni di primo grado e se quelle sono troppo difficoltose il programma si abbasserà alle tabelline. Per avere la sufficienza basterà saper contare fino a 10.
  2. Niente esami e nessuna valutazione di studenti per evitare loro stress da prestazione e dei docenti perché impossibile, aboliti i voti e fra i diversi ordini di scuola esami facilitati nei quali chiunque possa venire promosso. A 19 anni tutti avranno il titolo garantito, e poi pazienza se firmeranno con una X.
  3. Chissenefrega di materie obsolete e astruse come scienze, latino, matematica. A scuola dovranno essere svolte materie moderne, alla moda o utili nel caso si sia selezionati per il grande fratello come blogghing, ecologia consapevole solidale, ikebana oppure comunicazione attiva. Per avere 10 in informatica sarà sufficiente riuscire a comporre un numero con un cellulare moderno. Per la lode invece è richiesto di riuscire a salvarlo in rubrica.

Tempo 10 anni e si otterrà una generazione di gente che farà sembrare ottusangolo e pierino la peste dei nobel.

(1) Polemiche sul concorsone, polemiche sull’Invalsi, polemiche sulle preselezioni universitarie. In pratica qualsiasi sistema di misurazione, per quanto grossolano possa essere, delle competenze e delle capacità acquisite, abbastanza oggettivo e difficilmente “taroccabile” ha generato infinite polemiche.

(2) Una domanda del concorsone era: dire quale fra le quattro è la parola che non c’entra nulla con le altre tre. E le parole erano leggere, rosticcere, sapere, cuocere.

(3) Per come è strutturato non consente di poter randellare sui denti ne il singolo docente e neppure la scuola…

(4) Ovviamente X+Y+Z >= 168

Tagliare il ramo cui ci si è seduti

http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/293980

Piacenza, Ikea reagisce alle proteste
Oltre cento operai perdono il lavoro

Il colosso svedese ha deciso un “riposizionamento dei volumi” nello stabilimento di Piacenza, dopo gli scontri di venerdì scorso.

Ecco il risultato della lotta scriteriata dei cobas.  E adesso che fanno ?

Purtroppo il sindacato italiano non riesce ad uscire da una logica di scontro frontale e di violazione delle regole. E mentre a bloccare stazioni, porti e aeroporti se la cava sempre a buon mercato, per un malinteso senso di pace sociale da parte delle autorità, con l’ikea questa logica ha fatto flop.

ikea è un privato che mira al profitto. Se lavorare in italia non è conveniente semplicemente prende i piedi, va via e tanti saluti. C’è anche da dire che ikea non aveva assunto direttamente le persone che protestavano ma aveva dei rapporti commerciali con le ditte cui queste lavoravano.

Quindi il picchettaggio, azione ricordiamo illegale, dell’ikea era figlio della stessa logica che porta a bloccare le stazioni: io c’ho ragione perché urlo più forte.  Peccato che sia una logica fallace e controproducente. Hanno segato il ramo cui erano seduti e son finiti, giustamente, culo a terra.

 

ottima riflessione di D. Giacalone sulla scuola

fonte: http://www.davidegiacalone.it/politica/protestino-per-il-contrario/

Protestino per il contrario

Non ha senso che gli studenti protestino contro i tagli alla spesa pubblica, dovrebbero protestare contro la strutturazione di tutta intera quella spesa. A sentire certi slogan e a leggere certi resoconti ci si rende conto che il vecchio e il nuovo non hanno confini necessariamente anagrafici. Alcuni di questi giovani sembrano non aspirare ad altro che ad avere la vita dei loro genitori e dei loro nonni. A loro andrebbe detta una parola sincera: non è possibile. E neanche bello. Supporre che la difesa dei loro interessi coincida con quella dei loro docenti, all’interno di una scuola i cui risultati sfigurano rispetto ai sistemi istruttivi nostri diretti concorrenti, non è una semplice bischerata: è una truffa.

L’interesse degli studenti dovrebbe essere quello di far prevalere la meritocrazia, prima di tutto fra le cattedre. E’ vero che quando si è ragazzi non si disdegna punto la supplente impreparata, nel corso delle cui ore si può far caciara, ma è anche vero che se non si è ragazzi stupidi ci si rende conto che con quel sistema si diventa polli allevati in batteria, senza eccellenze che non siano dono di natura.Senza altro privilegio che non sia la condizione economica della propria famiglia. Sicché, se ci tengono alla democrazia e all’apertura del nostro sistema formativo, affinché sia trampolino di lancio verso i successi della professione e del mercato, devono chiedere il contrario di quel che reclamano: scuola selettiva e di altro profilo. Altrimenti si fermano gli ascensori sociali che, difatti, sono già inceppati.

In quanto alla spesa, posto che la sua pressoché totalità è destinata ai costi correnti, vale a dire al pagamento degli stipendi e della gestione, si vorrebbe sapere cosa gliene importa agli studenti dei suoi eventuali tagli. Credono di avere meno opportunità, nella vita, se il loro docente è tenuto a insegnare più ore? Semmai dovrebbero mobilitarsi proprio per chiedere la compressione della spesa corrente e il ritorno degli oramai scomparsi investimenti. (…)

La sgradevole impressione, invece, è che il rito della protesta si ripeta uguale a sé stesso, di anno in anno, senza neanche aggiornare ragionamenti e parole d’ordine. Una specie di dannazione, una coazione a ripetere gli errori di sempre, una voglia di conservare quel che, invece, andrebbe cambiato. (…)

Devo dire che Giacalone ha perfettamente ragione su tutta la linea, per quanto questo possa far incazzare studenti e docenti.

Se il filtro scolastico di passare i bravi e fermare i non bravi non funziona, nessuno crederà a tale filtro e verranno utilizzati altri filtri per scremare i bravi dai non bravi. Come ad esempio il numero chiuso all’università o la richiesta di referenze e certificazioni da parte delle aziende.

Nella scuola italiana si è scelto di portare avanti un vuoto egualitarismo di facciata, apparentemente comodo per i docenti, se promuovi tutti hai pochi problemi con preside e colleghi.Per un un genitore che si chiede come mai il figlio che non sa niente è uscito promosso ne hai 99 che se ne fregano di quanto realmente conosca il figlio e son contenti che sia uscito promosso. Salvo rendersi conto che il figlio è funzionalmente analfabeta quando verrà valutato, con serietà, dalle aziende o dovrà dare un concorso pubblico od una prova di accesso ai corsi a numero chiuso. Ma in quel momento non possono più protestare contro chi, a parte loro, ha rovinato il figlio che invece di fargli prendere consapevolezza della propria ignoranza gli ha fatto credere di essere un gran dottore.

a cosa serve l’articolo 18

Sull’articolo 18 spesso si fanno grandi battaglie ideologiche ma oramai può essere facilmente aggirato come dimostra questa notizia del corriere della sera:
http://www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/lavorare-gratis/b7039cb2-1183-11e2-b61f-b7b290547c92.shtml

A che serve difendere un articolo di legge oramai superato invece di rimodulare lo stato sociale per tutelare chi ha avuto la sfortuna di perdere il lavoro ? forse solo a soddisfare l’ego di qualche sindacalista.