Questo articolo del fatto quotidiano è molto interessante perché mostra sia come la “narrazione” si sostituisca ai fatti nel descrivere la realtà sia come molte femministe intendano i processi per stupro e/o violenza: processi analoghi a quelli dell’inquisizione anglosassone contro le streghe1, processi la cui funzione non è quella di chiarire, nel contraddittorio fra parti, la versione più verosimile quanto quella di mostrare quanto sia stato cattivo l’inquisito e quanto sia sacrosanta e giusta la condanna.
Lucia Perez. Assolti i 3 uomini accusati di aver stuprato, torturato e ucciso 16enne argentina. Ni Una Menos: ‘Morta 2 volte’
La vittima era diventata il simbolo delle proteste delle femministe. Due degli imputati sono stati condannati a 8 anni per la vendita di droga a minorenne, mentre il terzo è stato assolto dall’accusa di occultamento di cadavere. L’Istituto di studi comparati in scienze penali e sociali: “L’imponente quantità di pregiudizi mostrati durante il processo rendono questa decisione un’imposizione arbitraria”. Chiesta indagine sulla condotta della pm Maria Isabel Sanchez
Già il titolo mistifica: a leggerlo sembra una assoluzione completa e non, come poi viene scritto nell’articolo, l’assoluzione dall’accusa di aver stuprato la ragazza. Direi il classico titolo clickbait utile per fomentare tante polemiche (e avere tante visite). E infatti nei commenti molti commentavano, non il corpo dell’articolo ma il titolo. Penso che molta percezione di “giustizia demenziale” dipenda in realtà da titolo messi per colpire ma fuorvianti rispetto alla notizia.
La sua morte, e i dettagli della violenza subita, sconvolsero l’Argentina e tutta l’America Latina, dando il via al primo sciopero generale delle donne in Argentina e ad una serie di manifestazioni che avviarono il movimento #NiUnaMenos (Non una di meno). Ma a due anni dal crimine, i giovani accusati di aver drogato, stuprato, impalato e assassinato la sedicenne Lucia Perez sono stati assolti dal tribunale di Mar del Plata dal delitto di omicidio e violenza: due di loro sono stati condannati a 8 anni per la vendita di droga ad una minorenne, mentre il terzo è stato assolto dall’accusa di occultamento di cadavere. Sconvolta la famiglia della ragazza. “Loro non l’hanno stuprata, non l’hanno uccisa, non le hanno dato niente. E la morte di mia figlia cos’è, un regalo?”, ha detto la madre Marta Montero. Protesta il movimento femminista Ni Una menos che ha annunciato una mobilitazione per il 5 dicembre: “Lucia è stata uccisa due volte. La prima volta dagli esecutori diretti, la seconda da chi li ha assolti negando che due adulti che somministrarono cocaina per sottomettere una adolescente siano responsabili di abuso e femminicidio”. Critico anche l’Istituto di studi comparati in scienze penali e sociali (Inecip), secondo cui la sentenza mostra “un’indifferenza totale alle esigenze che il diritto internazionale dei diritti umani pone da decenni nell’inserire la prospettiva di genere nei giudizi per crimini sessuali. L’imponente quantità di pregiudizi mostrati durante il processo, e ratificati dalla sentenza, rendono questa decisione un’imposizione arbitraria e manifestano una cultura della violenza. In questo modo si mette sotto processo la vittima”.
Posso capire la reazione della madre; non posso giustificare un movimento che invece della verità vuole colpevoli da mandare al rogo.
Secondo i giudici argentini, i periti non sono riusciti a dimostrare che la ragazza è stata violentata e assassinata da Matías Farías (25 anni) e Juan Pablo Offidani (43), per cui era stato chiesto l’ergastolo. La morte di Lucia Perez non sarebbe stata dunque un femminicidio, né sarebbero stati compiuti abusi sessuali, ma ci sarebbe stata una relazione consensuale con il più giovane, che le aveva venduto anche cocaina.
Se è morta di overdose non è femminicidio, è overdose. E che un tossicodipendente rischi di rimanerci per overdose è un fatto abbastanza plausibile. Comunque se non ci son prove di un fatto non si può condannare per tale fatto, questo è un caposaldo della civiltà.
E anche se durante le indagini il pubblico ministero, Maria Isabel Sanchez, aveva detto che la morte era stata causata dalle torture subite, per i magistrati sarebbe invece dipesa dall’overdose di droga. Per questo motivo è stato ordinato di mettere sotto indagine la condotta della procuratrice Sanchez, che a poche ore dalla morte della ragazza, aveva convocato una conferenza stampa in cui aveva rivelato i particolari brutali delle torture e violenze subite, tra cui l’essere infilzata e impalata analmente, che avevano innescato un’ondata di indignazione e commozione in tutto il continente latinoamericano.
da notare il modus operandi: avere una condanna mediatica che anticipi e propizi la condanna “reale”. Roba già vista in italia. Il problema è che se si sdoganano questi sistemi poi non è il caso di lamentarsi quando vengono “usati” contro qualcuno “simpatico” e non solo contro gli antipatici.
Secondo i giudici Pablo Viñas, Facundo Gómez Urso e Aldo Carnevale, la pm con la sua condotta ha condizionato l’opinione pubblica, parlando di un ‘impalamento’ che non ci sarebbe mai stato. (…) Sulla base delle chat con le amiche, i giudici hanno detto che Lucia “non era una persona che poteva essere facilmente costretta ad avere relazioni sessuali non consensuali”, e che “sceglieva volontariamente gli uomini con cui stare”, e che dal suo vissuto si può scartare completamente la possibilità che fosse stata “sottomessa senza la sua volontà”, che non mostrava la sua età e aveva detto di aver avuto relazioni con uomini anche di 29 anni. “Qui non c’è stata violenza fisica, né psicologica, subordinazione, umiliazione né cosificazione”, si legge nella sentenza.
Per vedere quanto sia plausibile un certo fatto devi, giocoforza, indagare sul vissuto di tutti gli attori. Da notare anche un’altra cosa a margine: una morte per impalamento lascia evidentissime tracce nel corpo della vittima, tracce facilissime da individuare. Io mi chiedo: tali prove esistono? se sì sarebbe uno scandalo che i giudici abbiano ignorato tali prove, se non esistono, come penso più probabile che sia, mi chiedo quanto sia “sano” tifare per condanne basate solo su racconti invenzioni e pregiudizi.
Da notare anche che molte che si sdegnano per la sentenza in Argentina poi sono le prime a fare millemila distinguo nella vicenda di Pamela o di Desirée. A quanto pare la colpevolezza o l’innocenza non dipende dai fatti ma dai pregiudizi o dalla convenienza politica.
Conclusione: se si smania per andare a fare la lotta nel fango poi non ci si lamenti se si esce inzaccherati.