Vogliono far morire greta d’infarto…

Sorgente: Da Bologna a Stoccolma in Apecar per incontrare Greta Thumberg: il viaggio dei ragazzi di Radioimmaginaria – Il Fatto Quotidiano

ATTUALITÀ
Da Bologna a Stoccolma in Apecar per incontrare Greta Thumberg: il viaggio dei ragazzi di Radioimmaginaria
Il 29 luglio 10 di loro intraprenderanno un viaggio di 4.500 chilometri per incontrare la loro eroina grazie ai 6.383 euro raccolti con un crowdfunding. Durante il percorso attraverso l’Europa si fermeranno a interrare le piante che portano nel cassettone dell’Ape per cercare di compensare le emissioni del loro mezzo, anche se ha un motore di soli 180 cavalli

Da Bologna a Stoccolma in Apecar. Si chiama OltrApe il progetto dei 10 giovanissimi che il 29 luglio partiranno dalla provincia di Bologna, per arrivare a Stoccolma, a casa di Greta Thumberg, attraverso un viaggio di 4.500 km, tutto a bordo di un’Ape car.  (…)

Ad agosto 2018 avevano comprato in Sicilia una vecchia Apecar del 1970, che avevo portato a Castel Gandolfo con un primo grande viaggio on the road di 1.900 km e ora sono pronti a rimetterla in moto per una tratta ben più impegnativa. (…)

Piccolo refuso, il motore è da 18 cavalli, non 180, 180 cavalli è la potenza di un motore di camion o di un “puttan SUV” fascia alta.

Da notare anche che se il motore dell’ape è quello originale, essendo costruito nel 1970, non penso abbia particolari accorgimenti ecologici, inoltre va a miscela, una combinazione di benzina e 2% di olio lubrificante, e non ha la marmitta catalitica. Ciò vuol dire che inquina come un’auto a benzina “rossa” oltre all’inquinamento della combustione dell’olio lubrificante, non c’è solo il Co2 come inquinante…

L’idea è quella di incontrare Greta proprio nel posto dove è nato il suo progetto di tentare di salvare il mondo e di raccontare tutto via radio, anche il viaggio stesso, tappa per tappa. Alla guida dell’Ape ci saranno i pochi maggiorenni del gruppo, ma la parte più interessante è che i ragazzi non sanno se, quando arriveranno a Stoccolma, troveranno o no Greta a casa. Sulla via della Svezia toccheranno Francia, Regno Unito, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Germania e Danimarca, passando a trovare tutti i loro inviate sparsi per l’Europa, ma soprattutto fermandosi a interrare le piante che si sono portati nel cassettone dell’Ape, per cercare di compensare le emissioni del loro mezzo, anche se ha un motore di soli 180 cavalli.

Sarei curioso di sapere come sistemeranno nell’ape le 10 persone con i bagagli e le piante da piantare, mi sembra che ci sia troppo poco spazio per tutte quelle persone. Partiranno meno di 10 persone? Viaggeranno anche con altri mezzi? Se la risposta è sì, allora perché scarrozzare per mezza europa un veicolo poco sicuro ed inquinante come una ape car del 1970? Capisco il voler compiere qualche gesto dimostrativo ma, per come lo racconta l’articolo, il gesto dimostrativo ovvero il girare con l’ape car, inquina molto, ma molto di più, soprattutto a causa della combustione della miscela, che girare con una automobile moderna. A far il conto dell’inquinamento prodotto per il viaggio, confrontandolo con un diesel o un benzina moderno, ci sarebbe abbastanza da far schioppare Greta d’infarto.

Questo articolo mostra come le migliori intenzioni, il riciclo, il voler fare qualcosa di utile per l’ambiente, il voler fare azioni dimostrative, unite però ad una grave ignoranza scientifica, l’inquinamento prodotto da un motore non dipende solo dalla cilindrata, porti a fare più danni che altro. Forse, per salvare l’ambiente, sarebbe meglio passare sui banchi a studiare qualche oretta in più e girare un po’ meno con un cartello.

Stage, tirocini non pagati, sfruttamento… Ormai nemmeno uno su mille ce la fa – Il Fatto Quotidiano

Ho trovato questo articolo interessante; perché mostra impietosamente tanto piagnisteo legato al mondo del lavoro e di come stage ed esperienze formative vengano fraintese dall’una e dall’altra parte della barricata.

Divertente il refuso iniziale: “uno su mille non ce la fa” significa dire che i restanti novecentonovantanove riescono.

Sorgente: Stage, tirocini non pagati, sfruttamento… Ormai nemmeno uno su mille ce la fa – Il Fatto Quotidiano

Bamboccioni, sdraiati, iperconnessi, pappemolli… e stagisti. Uno su mille non ce la fa

Queste sono le tante etichette appiccicate addosso alla generazione dei Millennials. L’ultima, “pappemolli”, è proprio una mazzata visto che viene da Breat Easton Ellis, scrittore americano di romanzi cult come Less than zero (1985) e portabandiera della young generazione di allora.

Comincio dall’ultima categoria, quella degli stagisti, praticanti, apprendisti, applicanti di summer job (Salvini, al quale non piacciono gli inglesismi, direbbe “lavoretti estivi”).

Piccola nota: cosa ci sarebbe di male nell’utilizzo dei termini in italiano, molto più appropriati del disgustoso “italiese” di applicanti di summer job? alla fine pur di prendersela con salvini fanno figure barbine che paradossalmente lo favoriscono. Sinceramente alla lettura della frase ho pensato a questa barzelletta.

E’ un esercito di senza lavoro che sperano di trovarne uno partendo dal basso, umilmente, accettando “proposte indecenti” in nome di un’esperienza lavorativa non retribuita ma almeno formativa, da far “brillare” un curriculum ancora acerbo. Invece in nome di quella “straordinaria” macchina di sfruttamento operante in tanti paesi e in tante coscienze, ne sono vittime.

L’estate, poi, è l’alta stagione degli stage. La lista è infinita, di chi di si para il fondoschiena e offre un tirocinio in cambio di manovalanza a costo zero. Io la chiamo macelleria sociale, e voi? Ho figli in età di stage, dunque conosco un po’ la materia. Mio figlio, 19 anni, prima di cominciare Marketing and Advertising all’Universita Pepperdine, vuole avere un assaggio del mercato professionale a Los Angeles. Una casa di moda, un brand giovanile da influencer, gli offre uno stage di tre settimane, con possibilità di estenderlo. Al ragazzo viene affidata la mansione, carica di responsabilità, di appendere i vestiti sulle grucce. Ovviamente gratis.

Tramite la segnalazione di un amico di un amico gli si aprono le porte di una casa di produzione a Hollywood. Questa volta, pensa il ragazzo, farò qualcosa di serio. Socialmente utile di certo, viene messo a fare l’usciere: apre e chiude le porte a gente che va, gente che viene. La promozione non si fa attendere e dopo un mese va ad occupare il posto da centralinista e risponde al telefono. Altro che major: non è previsto neanche un minimo di salario. Resiste un altro mese.

Se gli stage non erano formativi perché li ha fatti? Mah. In realtà quando ho letto la storiella ho pensato a tanti ragazzini, e genitori, convinti che nell’alternanza scuola-lavoro sarebbero stati messi immediatamente ad operare in ruoli “critici” per l’azienda. Peccato che per ruoli “critici” le aziende tendano a preferire persone che “referenze alla mano” possano dimostrare di essere adatte a svolgere un tale lavoro.  Terra terra se sei un pischello alle superiori ti coinvolgo per aspetti marginali del lavoro, non ti metto da solo a svolgere lavori delicati, approcciarsi al mondo del lavoro significa anche capire “cosa si sa fare” e come lo si può dimostrare. Il ragazzo cosa sapeva fare? e cosa si aspettava di fare se non aveva alcuna esperienza? Sarò cinico ma se ti aspetti di uscire da scuola ed essere assunto come CEO da qualche parte con il pil del Rwanda come stipendio mensile (+ benefit) è molto probabile che finirai deluso.

C’è da dire che anche appendendo vestiti vedi come funziona il negozio, come dialogano i reparti, come si organizza il personale, come si svolgono le vendite, come si muove la gente che vuole acquistare e come la si supporta e convince.  Riporto un mio brano che scrissi riguardo all’alternanza scuola lavoro:

Se io devo investire in una nuova assunzione su chi mi conviene puntare? su chi, referenze alla mano, mi dimostra che certe cose le ha viste e magari le ha capite o su chi dice di averle fatte ma non può dimostrare alcunché? Chi parla di stage passati solo a servire il caffè e/o a fare fotocopie dimostra, impietosamente, di non essere capace di vedere cosa sta capitando sotto i suoi occhi; di essere incapace di vedere cosa sia un ciclo produttivo o quali siano gli scopi del reparto, o dell’ente, cui sta lavorando. Di dire cosa stanno facendo i colleghi per i quali stava facendo fotocopie. Più che un “poverino costretto a fare fotocopie (nonostante un curriculum mirabolante)” vedo un: “persona incapace di cogliere le opportunità di imparare”.
Immaginiamo la scena;
caso A: “buongiorno, vedo che ha fatto uno stage nella società X/al comune Y; cosa le è rimasto dello stage?” “ho visto come funziona il ciclo di produzione ho visto come si svolgono gli incontri con i fornitori/clienti, ho visto come si prepara una determina, un regolamento, una gara d’appalto.”
caso B: “buongiorno, vedo che ha fatto uno stage nella società X/al comune Y; cosa le è rimasto dello stage?” “ho fatto fotocopie.”
Si nota qualche differenza? faccio notare anche che nel caso A quello che viene risposto è: “ho visto questo e quell’altro”, non “ho fatto quello e quell’altro”. Il caso A è qualcuno pronto a cogliere le occasioni per imparare; il caso B invece è il classico studente che se non viene ordinato esplicitamente di imparare si limita a fare il minimo per arrivare al sei. Se foste il direttore del personale di una azienda, su chi investireste?

In Italia non siamo meno cialtroneschi: a mia figlia, 18 anni, e a tre sue amiche, iscritte a un famoso Istituto di moda e design di Milano, viene offerto un ministage di sei giorni durante la Design Week, quando Milano si trasforma in vetrina globale di creatività. Le ragazze si fregano le mani dalla contentezza. Pazienza se non ci pagano, vale anche come un credito, sì un solo punto, per gli esami. A loro sembra strategicamente interessante. E strategica sarà la posizione, dalle nove del mattino alle sei del pomeriggio all’ingresso del Salone del Mobile di Rho per indicare alla fiumana di gente dove sono le toilette. Motivazioni afflosciate come aquiloni senza vento. Nessuno ha nulla in contrario al lavoro di hostess, ma almeno che le ragazze siano pagate e non sfruttate.

Io invece mi porrei due domande: la prima è come mai il famoso istituto di moda accetta come formativa una esperienza di tale tipo. Se le aziende usano stagiste al posto delle hostess è anche perché ci son stagiste pronte a vendersi per 1 punto di credito universitario.

Seconda domanda: le ragazze cercavano uno stage o cercavano un lavoro? Non è che se entro in pizzeria, chiedo una margherita e mi danno una pizza mi possa arrabbiare perché volevo un fiore.  Per il resto ripeterei le riflessioni che ho fatto riguardo all’esperienza precedente.

Vado all’installazione di Hermès e chiedo a uno dei ragazzi chaperon, istruito a mostrare le meraviglie dell’ artigianato della maison, quanto guadagna al giorno: tramite agenzia di servizio, un’ottantina di euro, tutto regolare. Ovvio che Massimiliano Locatelli, architetto geniale, abbia la lista d’attesa per fare uno stage presso la Locatelli Partners, studio di progettazione tra i più conosciuti al mondo, sorride: “Li facciamo lavorare sul serio e li paghiamo sul serio”. Massimiliano e’ una mosca rara, se andiamo al Sud siamo messi anche peggio. Mia nipote Sveva quasi giornalista professionista (non posso scrivere il cognome, altrimenti non la fanno più scrivere) quando propone articoli, inchieste su Napoli, visto che il brand tira, a giornali locali e nazionali, si sente rispondere: “Siccome l’editoria è in crisi, non possiamo pagare”.

e lei continua a farli? Cinicamente: scema lei che continua a picchiare la testa al muro sperando che il muro si rompa; non te lo pagano o pretendono di pagarlo in visibilità? Non venderlo, nessuno ti obbliga.

Ci salva il grido di speranza di Aldo Masullo, un ragazzo di 96 anni, uno dei più grandi filosofi contemporanei: “Il mondo è ancora giovane. Non lasciatevelo scippare”. Si vabbè, ma neanche Gianni Morandi canterebbe più “Uno su mille ce la fa”. Al decreto Dignità che promette meno disoccupazione cambierei semplicemente nome: decreto senza dignità!

Non è che se io apro un negozio specializzato in articoli da Curling a Villasimius, con i commessi che parlano solo ed esclusivamente greco classico, poi la gente debba venire obbligata a comprare i miei prodotti. Se il mio prodotto non interessa, o costa troppo per la persona che dovrebbe acquistarlo, non viene comprato. Invece di fare questa semplice e banale riflessione si preferisce frignare contro il governo che mi toglie la dignità perché sono “Vozzi pVoletaVi che non amano il cuVling” e non capiscono la bellezza di parlare il “gVeco antico”. Ma quello non è un discorso di dignità, è un discorso di dimostrare di avere quel minimo di capacità razionali da non dover chiedere alla magistratura l’interdizione e la nomina di un tutore legale.

 

Avvisi di linguaggio non politicamente corretto…

Su twitter sta girando questa immagine, si tratta della prima pagina della raccolta delle “critiche” di Immanuel Kant, opere che per la filosofia hanno la stessa importanza del “liber abaci” per la matematica.

fonte dell’immagine: http://www.openculture.com/2014/03/publisher-places-a-politically-correct-warning-label-on-kants-critiques.html

Il disclaimer recita:

This book is a product of its time and does not reflect the same values as it would if it were written today. Parents might wish to discuss with their children how views on race, gender, sexuality, ethnicity, and interpersonal relations have changed since this book was written before allowing them to read this classic work.

Una sua traduzione potrebbe essere: “questo libro è un prodotto del suo tempo e non riflette gli stessi valori che avrebbe se fosse stato scritto oggi. I genitori potrebbero voler discutere con i loro figli di come le idee su razze, generi, sessualità, etica e rapporti interpersonali sono cambiati da quanto questo libro è stato scritto prima di permettere loro di leggere questo classico.

Adesso io non so se è un fake fatto solo per trollare, cosa che spero fortemente, o se è un libro realmente pubblicato.

Se fosse vero ci sarebbero da fare alcune serie riflessioni. Per una persona “non ignorante come una capra” dovrebbe essere scontato che un’opera scritta al tempo X generalmente rifletta il comune sentire dell’epoca X e non dell’epoca Y con Y >> X (“>>” si legge molto maggiore); anche “l’occhio per occhio, dente per dente” della legge mosaica oggi può sembrare barbaro ma contestualizzato all’epoca ove Lamech si vantava “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido.” è una conquista di civiltà visto che pone proporzionalità fra l’offesa e la punizione. E le “critiche” di Kant non son quel libro che, normalmente, viene acquistato da persone ignoranti come una capra.

Da notare anche che le “critiche” di Kant non son di certo le favole della buona notte da leggere ai bambini o testi che prendi per svagarti, quindi perché quel disclaimer? Pensano che le persone a 17/18 anni siano fragilissime da poter venire offese dal pensiero di Kant e che abbiano bisogno del sostegno dei genitori per leggerlo?

La risposta, sconfortante, che mi darei è che qualcuno prendesse qualche frase, magari anche avulsa dal contesto del paragrafo, e la usasse per dimostrare che Kant era un nazipedoterrosatanista patriarcale omofobo etc. etc. e che quindi è meritevole di damnatio memoriae e della distruzione di tutte le sue opere…

A dirlo sembra di dire assurdità degne del peggior gombloddista paranoico, poi cerchi su google qualche notizia sulla vicenda e trovi questo (il guardian, SX), questo (telegraph DX) e questo (il giornale);

Penso che questa storia del politicamente corretto e dell’evitare il linguaggio di odio stia letteralmente sfuggendo di mano; oramai nei social anche un semplice: “io non son d’accordo per questo motivo”, anche se espresso in maniera corretta e correttamente argomentato, viene dipinto come un brutale attacco verso la persona, con la logica conseguenza di chiedere la censura per chi dice o scrive cose che possono suonare sgradite. Talvolta nei social si scatenano guerre tra bande fra chi di dx si diverte a segnalare, anche a sproposito, messaggi di sx e viceversa. E il bello è che i fan della censura, quando tocca a loro, frignano forte, molto forte.

PS

Una regola aurea di internet ai primordi era: “se non ti interessa è un tuo diritto non leggerlo e filtrare l’autore in maniera tale da non vedere i suoi messaggi, non è un tuo diritto “chiudere il becco” agli altri.” Il ban veniva usato solo nel caso di comportamenti realmente scorretti e fastidiosi come lo spam o l’abuso di messaggi platealmente fuori tema.

Sinceramente preferivo la vecchia rete, libera, dove eri tu a dover filtrare i rompi@@, i fanatici della politica, gli esaltati, ad una nuova rete “asilo zucky” dove si può fare solo quello che zucky vuole…

la giustizia dei social

Segnalo un ottimo articolo di butac sulla vicenda dei tre accusati di stupro e dei conseguenti deliri sui social network.

A margine vorrei dire che è il giudice quello che ha letto tutte le carte del processo e ha a disposizione tutte le informazioni, non pesciolina_indignata123 di twitter, e che pertanto la decisione del giudice dovrebbe essere più ponderata di quella di pesciolina_indignata123 che, della vicenda, ha informazioni parziali urlate nei social.

Il pretendere che la giustizia della magistratura si pieghi alla giustizia del bobolo è una stronzata; come ho scritto nel messaggio precedente se butti nel cesso le garanzie allora le garanzie finiscono nel cesso per tutt*. Si veda la vicenda di Oceania Platino che da grande accusatrice poi si trovò anch’essa sulla graticola.

Per questo trovo anche sbagliato che politici, giornalisti ed altri montino l’indignazione sui social stuzzicando l’ego dei tanti giureconsulti da tastiera; se convinci Gino del bar di essere più competente in diritto di un magistrato poi non scandalizzarsi se si convince di essere anche più competente in virologia di un virologo o in ingegneria delle grandi strutture di un ingegnere.

Ed inoltre, se convinci che la magistratura sbaglia perché non da retta al bobolo ed ai suoi voleri poi non lamentarti quando la stessa storia viene tirata fuori per salvare il culo di qualche “antipatico”. Oppure trova una valida spiegazione per giustificare come mai in un caso la magistratura sia insindacabile e ciò che dice vangelo e nell’altro invece non lo sia.

La google university offre anche corsi di statistica…

Oltre che di virologia, economia, tattica calcistica, tuttologia teorica applicata… e hanno un casino di iscritti…

Su twitter un mio contatto ha segnalato questo messaggio:

Ieri ho fatto una sorta di test in fb. Ho 2 profili da 5000 persone, Ho chiesto cosa stessero leggendo in questo periodo. Al momento hanno risposto in 115.
Casomai ne avessi avuto bisogno, ho visto il livello di curiosità culturale che mi circonda.
Batto la testa nel muro.

Messaggio a cui è stata data anche questa risposta:

150 su mille è il 15%, tenendo conto che molti avranno sicuramente mentito, diciamo che restano circa il 10%. Questo spiega perché gli italiani votano in massa lega e 5s.

Posso dire che il messaggio originale ha un paio di errori metodologici nell’analisi statistica ovvero:

  1. Selezione del campione: il campione è realmente rappresentativo?
  2. Ampiezza del campione: quanti in realtà hanno partecipato?
  3. Errata valutazione della non “risposta”.

Primo errore: uno dei problemi della statistica campionatoria è la scelta del campione dal quale poi dedurre il comportamento della popolazione. Banalmente se faccio la stessa domanda “cosa ne pensa degli immigrati clandestini” durante una riunione di Potere al Popolo otterrò risposte completamente differenti da quelle che otterrei se la domanda la facessi durante una riunione di Forza Nuova. Se sbagli nello scegliere il campione ottieni risultati clamorosamente errati o meglio i risultati son corretti ma è sbagliato estenderli a tutta la popolazione.

Secondo errore: quanti hanno in realtà partecipato al sondaggio, quanti hanno realmente letto la pagina FB? ovviamente la mancanza di tale numero, 5000 iscritti significa poco, inficia tutte le analisi statistiche successive, hai 115 risposte su quante persone?

Terzo errore, in una indagine seria sai quante interviste son state poste e a quali domande la gente, che ha scelto di partecipare, ha risposto  “non so” o non ha voluto rispondere. In questo sondaggio come fai a sapere quanti hanno realmente letto il messaggio e hanno deciso di non rispondere.

Per intenderci una cosa è:

Buongiorno vuole rispondere a qualche domanda sulla politica?

Il politico Tizio sostiene la tesi X; da 1 a 10 quanto è d’accordo con Tizio?
Non saprei

E altra cosa è:
Buongiorno vuole rispondere a qualche domanda sulla politica?
Non ho tempo, scusi.

Il primo caso la risposta la puoi registrare come “non sa/non risponde”, la seconda invece no. Devi considerare la persona come non partecipante.

Chi non ha risposto perché non ha risposto? perché non ha letto alcun libro? perché non interessato al sondaggio?

Quello di usare “le non risposte” e la “non partecipazione” a supporto della propria tesi è un altro errore da evitare. Chiedo a 5000 persone cosa pensano di Tizio. di queste 4500 mi rispondono che non hanno tempo/voglia di parlare con me.  300 me ne dicono corna e peste di Tizio e 200 lo considerano un novello Giulio Cesare. Io poi vado a sostenere che Tizio non viene giudicato positivamente da 4800 persone su 5000, il 96%. E poi magari scopro che Tizio alle elezioni ha carpito il 55% dei consensi (vedi elezioni politiche americane e “sorprendente vittoria” di trump).

Interessante anche il messaggio di risposta; sballa completamente i dati; da dove salta fuori il rapporto 150/1000? fa affermazioni apodittiche “molti avranno sicuramente mentito” e conclude con un bellissimo non sequitur “Questo spiega perché gli italiani votano in massa lega e 5s” o forse sequitur, cioè se questa è l’opposizione…

Divertente comunque che molti che stigmatizzano l’ignoranza della gente “che vota lega e 5s” poi tiri fuori perle che non hanno nulla da invidiare ad un Di Maio o ad un Toninelli qualsiasi…

Fantadiritto e supercazzole…

Ieri molti giornali sono usciti con la storia che Salvini aveva violato la legge con i tweet elettorali e oggi sul il fatto c’è una intervista interessante a Flick

Salvini rompe il silenzio elettorale per due volte, Di Maio: “Andate a votare” – Nel giorno delle votazioni ha fatto discutere l’intervento sui social network di Matteo Salvini che, replicando quanto avvenuto al momento del voto in Abruzzo, ha rotto il silenzio elettorale. “Se pensate anche voi”, ha scritto in mattinata su Facebook, “che sia una buona idea ripopolare la Sardegna con gli immigrati (!), come vorrebbe un assessore del Pd, oggi votate loro. Per tutti gli altri (urne aperte oggi fino alle 22) c’è solo il voto alla Lega! (…)

Resta il fatto che la violazione di Salvini non può essere sanzionata. “Il divieto di fare campagna elettorale a ridosso delle elezioni c’è e il principio che difende è sempre valido”, ha spiegato a Tgcom24 il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Flick. “L’unica cosa è che nel caso di violazioni via social non si possono applicare le sanzioni perché, quando la legge è stata scritta i social non esistevano. Il principio sancito dalla legge continua a valere ed è quello che prevede il silenzio perché l’elettore abbia un momento di pausa e non sia sommerso fin sulla soglia della cabina elettorale da messaggi che possono diventare pressioni che possono levargli la libertà”. E ha concluso: “Un principio e una legge, continua, che devono essere quindi rispettate, a maggior ragione da chi istituzionalmente è preposto a garantire la regolarità delle operazioni di voto. Se il ministro dell’interno ha violato quella legge ha una doppia responsabilità. Tuttavia non si può estendere la legge per analogia e, quindi, non possono esserci sanzioni per chi non rispetta il silenzio elettorale sui social. In questo senso la legge andrebbe adeguata ai tempi”.

Flick sta supercazzolando per cercare di dimostrare che Salvini ha violato una legge senza violare la legge. O meglio, si può dire che Salvini non ha rispettato lo spirito della legge ma, quello che si deve rispettare è la norma scritta non le idee o le intenzioni di chi ha scritto la norma. Se la legge non vieta la propaganda via social, come giustamente ha anche osservato Mattia, la propaganda via social è permessa. Se la legge non è più adeguata ai tempi allora la si aggiorni.

Da notare la supercazzola di Flick “se il ministro ha violato ha una doppia responsabilità. Tuttavia non si può estendere la legge e quindi non possono esserci sanzioni”. Maliziosamente fa intendere che il ministro ha violato la legge e che non può essere punito per cavilli. In realtà la legge è deficitaria, non copre il caso social, e quindi Salvini non ha violato alcuna legge e quindi per quel preciso motivo non può ricevere alcuna sanzione.

Ma scrivere che molti tornano a fare fantadiritto pur di dar contro all’avversario politico sembra sia poco simpatico.

Cortocircuiti…

“A furia di fare a gara a fare gli obbressi salterà sempre fuori qualcuno più obbresso di te che stai opprimendo”.
Pseudo Nenni

Questo articolo de “il giornale” racconta un bel po’ di cortocircuiti legati al mondo LGBTQIXYZαβγℵℶ che stanno capitando. Cortocircuiti dovuti al fatto di voler accontentare le persone che pretendono che le loro pippe mentali vengano riconosciute.

Da notare come ad una considerazione, quella della Navratilova, si risponda non nel merito ma bollandola come transofoba e omofoba.

Io sinceramente non vedo cosa abbia detto di transfobico la Navratilova; che che se ne dica un transgender m2f ha, nel suo corredo cromosomico, il cromosoma Y. Biologicamente è un maschio, si è sviluppato come un maschio e del maschio ha molte caratteristiche fisiche come la muscolatura o la forma delle anche.  Può illudersi di essere donna ma la verità della presenza del cromosoma Y nel corredo genetico permane, e il farlo gareggiare in competizioni femminili gli permette di utilizzare una sorta di “doping naturale”.

Sorgente: Il tribunale delle trans alla lesbica Navratilova: “Non sei più dei nostri”

Il tribunale delle trans alla lesbica Navratilova: “Non sei più dei nostri”

Sono diventati un grattacapo legale, un caso giuridico, politico e sportivo. E la «vittima» più recente, sacrificata sull’altare delle pari opportunità, è in parte una di loro, nel senso è stata finora un simbolo della comunità Lgbtq.

Loro chi? Parliamo dei transgender, cioè coloro che sono passati da un genere all’altro senza essersi sottoposti a un intervento chirurgico (a differenza dei transessuali). Ma ecco i fatti: Martina Navratilova, 62 anni, tennista con 59 Grande Slam vinti alle spalle, lesbica (come si definisce lei stessa dal 1981) non sarà più ambasciatrice e consigliera della Athlete Ally, organizzazione che si batte contro l’esclusione di lesbiche, gay, bisex, trans e queer (Lgbtq) dallo sport. E la ragione per cui ha dovuto abbandonare il suo ruolo sono le considerazioni polemiche sulla partecipazione delle trans alle gare sportive che la campionessa ha affidato prima a Twitter e poi a un intervento scritto di suo pugno, sul Sunday Times, appena qualche giorno fa. «Non basta definirsi donna per competere con le donne. Devono esserci dei criteri. E avere un pene e competere come donna non può essere uno di questi», ha scritto e ribadito Navatrilova, che ha parlato di «imbroglio». Considerazioni sgradite. E ieri è arrivato il verdetto dell’associazione pro-gay, che ha bollato l’analisi della sportiva come «omofobica», anzi peggio «transfobica» e annunciato la sua destituzione. A rincarare la dose è tornata anche Rachel McKinnon, che a ottobre è diventata la prima trans campionessa del mondo nel ciclismo ai Mondiali Master di Los Angeles fra le polemiche, visto che la sua medaglia è stata contestata dalla numero tre Jen Wagner-Assali, che ha bollato come «ingiusta» la sua vittoria. «Sono frasi inquietanti, sconvolgenti e profondamente omofobiche», ha commentato la canadese a proposito delle considerazioni di Navratilova.

da notare come non si risponda nel merito, perché non si può rispondere nel merito, e si frigni di *-fobia facendo i capricci.

Qual è il nodo della questione? Dal 2016 il Cio (Comitato olimpico internazione) ha fissato nuove regole. Per poter competere nella categoria del genere a cui si è approdati, agli atleti trans non è più richiesta l’obbligatorità dell’intervento chirurgico (né i due anni di terapia ormonale di conversione). Ma ecco le differenze. I transgender che sono passati dal genere femminile a quello maschile possono gareggiare fra gli uomini senza prescrizioni, mentre le transgender, chi ha fatto cioè il passaggio da uomo a donna, devono dimostrare di avere un livello di testosterone inferiore a una soglia di 10 nanogrammi per litro. Basterà? La Navratilova non ne è convinta. Come non ne sono convinte molte attiviste laburiste nel Regno Unito. Perché la stessa questione, nei mesi scorsi, l’hanno posta proprio loro nei confronti del partito che ha aperto la strada alle transgender che non ha cambiato sesso per via chirurgica, ammettendole nelle liste solo donne. Una circostanza che ha mandato su tutte le furie le progressiste che si battono perché alle donne venga data maggiore rappresentanza. E proprio in questi giorni i tribunali britannici devono affrontare il caso della donna inglese che sui documenti si fa identificare come uomo ma ha messo al mondo una figlia con la fecondazione assistita e chiede però di essere riconosciuta come padre. (…)

Che bei cortocircuiti. Se io mi sento donna, posso entrare nei bagni delle donne, pretendere di partecipare alle quote rosa? Queste vicende mi ricordano tanto questo filmato dove il risultato dell’operazione “due più due”, fa quattro o ventidue a seconda della convenienza del momento; se si tratta di accontentare i capricci di un bambino e dei suoi, pessimi, genitori due più due fa ventidue però quando si tratta di soldi due più due torna a fare quattro.

Non si può arrivare a negare la realtà; come disse il tale: “sarà come dite voi, eppur si muove

PS

Gli antivax sono degli imbecilli fatti e finiti. Avessero polemizzato chiamando malatofobici quelli che gli contestavano, a quest’ora i contestatori starebbero a scusarsi tre volte al giorno della loro malatofobia e dire sempre di avere un amico “diversamente sano”.

Qualità e quantità

Questo articolo: “Altro che bamboccioni: gli studenti italiani sono tra i migliori in Europa – Linkiesta.it” l’ho trovato interessante perché mostra due “bias” diffusi quando si parla di analizzare i dati; il primo è il considerare un solo dato su un fenomeno avulso dagli altri dati  relativi a tale fenomeno. Il secondo invece è pensare che la quantità possa sostituire la qualità.

Per demolire le ingiuste prese di posizione degli adulti, nulla è meglio di qualche dato volto a screditare le maldicenze. Il 12 dicembre si è tenuta presso il Ministero dell’Istruzione la presentazione dell’ottava indagine Eurostudent per il periodo 2016-2018. Per una volta gli anziani dovranno ricredersi. Dai dati analizzati nel triennio viene fuori un immagine molto positiva degli studenti italiani: a livello percentuale siamo gli studenti con il più alto tasso di ore di studio in Europa. Gli universitari italiani impiegano nello studio quasi 44 ore settimanali, il 30% in più della media calcolata in Europa. Per quanto riguarda il tempo di studio, è stata rilevata una crescita regolare dell’impegno degli studenti, con il monte ore settimanale che è cresciuto di circa il 38% negli ultimi venti anni. Questo tipo di comportamento appare rinforzato dall’idea che non ci siano molte prospettive per il futuro: questa percezione ha portato sempre più giovani ad un’assunzione di responsabilità individuale così come ad una scelta di aumentare l’investimento di energie nello studio. Ciò vale soprattutto per gli studenti fuorisede: tra di loro l’impegno nello studio è cresciuto più degli altri.

Il misurare il numero di ore impiegate nello studio è come il contare il possesso di palla in una partita di calcio.  Esiste una correlazione fra il possesso di palla ed il numero di gol segnati: più tieni la palla più è probabile che segni, ma è anche vero che puoi avere squadre che tengono tanto la palla e sbagliano tanto e “cecchini” che magari tirano poco ma riescono a capitalizzare bene i pochi tiri che riescono a fare[^1]. I tre punti li prende chi segna più non chi tiene più a lungo il pallone. Per valutare devi considerare anche il risultato finale della partita; non è detto che la squadra che fa più possesso di palla sia quella che vince il campionato o che passa il turno.

Idem per le ore di studio: il numero di ore di studio è un indicatore ma preso da solo significa poco o niente; uno può passare giorni e giorni a studiare a memoria le prime 10.000 cifre di pi-greco, studia tanto ma sta solo sprecando tempo inutilmente. Come una squadra che perde tempo in tanti passaggetti orizzontali senza provare a tirare o ad attaccare. Utile se stai vincendo due a zero e vuoi addormentare il gioco, suicida se devi vincere e sei sotto.

C’è anche da fare un discorso di qualità. Cioè il numero di ore di studio non è un indice di qualità. Impara più matematica chi studia per 8 ore come funzionano i limiti che chi si mette a studiare per 8 ore le cifre di pi greco.  La quantità di ore di studio è la stessa, la qualità dello studio profondamente diversa. La quantità non può sostituire la qualità.

 

Filosofia e comprensione della realtà

“Piano, piano,” disse Guglielmo. “Non so perché, ma non ho mai visto una macchina che, perfetta nella descrizione dei filosofi, poi sia perfetta nel suo funzionamento meccanico. Mentre la roncola di un contadino, che nessun filosofo ha mai descritto, funziona come si deve…
[Umberto Eco, Il Nome della Rosa]

La filosofia della scienza è utile agli scienziati quanto l’ornitologia agli uccelli
[R. Feynman].

Stavo leggendo la spassosa vicenda che riguarda la diatriba fra R. Burioni e S. Regazzoni (qui).  Avevo l’impressione che molti filosofi fossero persone fuori dal mondo incapaci di capirlo e buoni solo a nascondere la loro ignoranza dietro un sacco di supercazzole. Devo dire che la vicenda mi sembra una ennesima conferma sperimentale di questo fatto.

Riporto la parte corposa dello scambio con alcune considerazioni sparse a margine.

I fatti, in breve. La scintilla del botta e risposta è una frase di Regazzoni: “La scienza è una cosa buona, ma ci sono medici che ne hanno un’idea così ingenua e imbarazzante da fare danno alla scienza. Certo, non si può chiedere a tutti di conoscere un po’ di filosofia della scienza. Però ignoranza e arroganza non aiutano se decidi di metterti a discutere nello spazio pubblico”. Lo stesso Regazzoni invita poi l’immunologo a studiare, poiché “non conosce l’abc della scienza”: non la scienza medica, evidentemente, ma la filosofia della scienza. La critica non è quindi rivolta al Burioni medico, ma al Burioni personaggio pubblico che interviene sul difficile rapporto tra scienza, società e politica.

È qui che inizia uno sconcertante attacco di Burioni, in cui l’affermato ordinario delegittima e ridicolizza il suo interlocutore per la sua condizione di precario, e quindi di fallito. “Un professore a contratto che dice a un professore ordinario ‘vada a studiare ne ha bisogno’ è qualcosa che accade solo su Twitter, e solo in casi particolarissimi”. Nella visione di Burioni non è quindi solo la scienza a non essere democratica. Mi puoi criticare se hai uno status pari al mio, altrimenti no. Non conta l’idea che si esprime né la competenza specifica. Prosegue Burioni: “O porta dei numeri a supporto della sua affermazione, oppure ai miei occhi rimangono delle frasi vacue che non esprimono altro che la sua frustrazione e che starebbero bene in un bar di periferia e non nelle aule universitarie che ancora lei è costretto – forse per questa sua ingiustificata protervia – a frequentare in maniera precaria”. E ancora: “Però lei non è neanche professore e sta facendo qui su Facebook una lezione a me su come dovrei fare quello che lei mi pare non riesce a fare e che vorrebbe fare”, aggiungendo poi che Regazzoni, “da contrattista, mi sta facendo una lezione gratuita su come riuscire dove lei continua a fallire”.

-> Burioni tende ad essere brusco, poco diplomatico ma dice pane al pane e vino al vino. Un vecchio trucco argomentativo è attaccare la forma invece del contenuto quasi che se dica 2+2=4 urlando stia dicendo una falsità mentre se l’avessi detto dolcemente diventerebbe una affermazione vera. Purtroppo la verità di una affermazione è indipendente dal tono cui viene enunciata. Se il regazzoni avesse criticato solo i toni la sua sarebbe stata una critica legittima. Peccato che aggiungendo il termine “ignorante” l’abbia fatta fuori dal vaso e di molto. Per dare dell’ignorante a qualcuno occorre dimostrare di saperne di più di lui, altrimenti ci si sta comportando solo da idioti boriosi. Facendo un paragone calcistico è come se un allenatore di serie C, di una squadra di mezza classifica, pretenda di insegnare ad un Carlo Ancelotti od a un Luciano Spalletti come si gestisce la squadra quando hai sia coppe che campionato.

-> Il tizio è precario a 40 anni; se vedi che in una certa carriera non riesci a batter chiodo o cambi ad altro o continui a sperare. Strano che i filosofi che dovrebbero essere quelli che dovrebbero capire maggiormente il mondo ed il funzionamento in molti casi si rivelino essere persone incapaci di capire la realtà e di interagire. Quando Tremonti fece la sua sparata “con la cultura non si mangia” io mi sarei aspettato, come risposta, qualcuno a pancia piena che mostrava come la cultura gli permettesse di mangiare. Invece chi si lamentò di più, era gente a digiuno che magnificava i lauti pasti che facevano con la cultura.

->L’essere precario può essere una sfortuna ma spesso è conseguenza di una sequenza di scelte sbagliate; la filosofia è un campo saturo ove l’offerta surclassa di molto la domanda. Questo secondo il sig. Adam Smit, padre della filosofia economica, spinge il valore in basso. Eppure molti non capiscono questo semplice fatto, così come non capiscono che io se concorro con 10 rivali devo essere meglio di quei 10, se concorro con 1.000 devo essere migliore di quei 1.000. La cultura dovrebbe renderti capace di capire subito questi fatti di base; cosa pensare di uno che non riesce a capirli e contemporaneamente magnifica la “cultura” e la sua capacità di fargli capire e interpretare il mondo?

-> La tanto meravigliata “filosofia della scienza” usata dal Regazzoni contro Burioni ma sa che ha la stessa utilità della trama in un film porno; se c’è bene altrimenti pazienza, si fa sesso lo stesso.  Magari non sappiamo i profondi motivi filosofici perché la roncola funziona ma, per quello che serve per la maggior parte dell’umanità, funziona abbastanza bene. Piaccia o no la scienza è andata avanti ignorando la filosofia della scienza, e i filosofi della scienza si son trovati decisamente marginalizzati.

-> Hegel era un palese idiota, è bene ricordarlo.

sulla giornata contro la violenza verso le donne

Maria, nome di fantasia, era una ragazza del mio liceo, molto carina e poco interessata allo studio.
Si era messa con giuseppe, un teppistello sempre pronto a fare lo spaccone, temuto perché picchiava tutti e faceva il figo con la moto e perché era già stato in riformatorio. La solita microdelinquenza di periferia. E lei, di riflesso grazie al “chiamo a giuseppe e vi faccio picchiare” faceva da piccola “bulla”. Terra terra maria stava con giuseppe perché era figo e picchiava tutti, e lei poteva fare, via giuseppe, da baby teppista oltre che brillare di luce riflessa.

Peccato che, dieci anni dopo, maria si trovò ad essere una venticinquenne senza ne arte e ne parte; maria mollò la scuola a sedici anni, con un compagno, giuseppe, manesco e con due figli piccoli da mantenere. Maria capì che a sedici anni potevi bullarti che il tuo pivello picchiava tutti e faceva paura ai tuoi compagni a scuola, a venticinque anni scopri che non può picchiare il responsabile dei servizi sociali, non può spaventare un magistrato e che cercare una rissa con i carabinieri è un comportamento alquanto controproducente. La separazione fra i due fu un poco “conflittuale” anche perché giuseppe era uno abituato a menare prima di pensare.

Oggi molti parlerebbero, giustamente, di femminicidio, di stalking e di violenza maschile da parte di giuseppe, di victim blaming, verso la povera maria. Io invece parlerei, oltre che della “cattiveria” di giuseppe anche, e molto, della di stupidità di maria. Se scegli tu il tizio perché è uno che “si fa rispettare” e picchia tutti, se ti vanti di ciò, se usi il “chiamo a giuseppe1” come minaccia verso i compagni e chi non accetta i tuoi capricci, poi non stupirti se in casa ti trovi uno violento pronto a menare. Sei stata tu a sceglierlo e l’hai scelto proprio perché un teppista “che si faceva rispettare” e di riflesso “ti faceva rispettare”; una con la sindrome della crocerossina non va in giro a vantarsi che il ragazzo è stato due o tre volte in riformatorio, raccontare delle risse cui ha partecipato e usarlo come minaccia: “o mi dai retta o chiamo a giuseppe”.

Quello che ho notato che manca nella giornata contro la violenza verso le donne è una seria educazione al “vaffanculo” da parte delle signorine: ovvero prevenire: sfanculare da subito il teppistello e mandarlo al diavolo prima è sempre meglio di curare ferite fisiche e psicologiche dopo. Perché si possono fare tutti i pipponi moralistici che si vuole ma, imho, se non si mette in chiaro che deve essere, in primis, la donna ad evitare il testa di cavolo e non starci assieme sperando che il testa di cavolo sia lui a redimersi, l’anno prossimo rimaniamo punto e a capo. Se si parla di Maria come di una santa, non si capisce come, perseguitata da satana giuseppe, e non di una che ha fatto scelte decisamente sbagliate e che si trova a dover vivere le conseguenze di tali scelte, domani ci saranno tante altre maria.

E “vittime” su cui fare il piagnisteo per le future giornate non mancheranno.

Per questo io penso che nelle giornate contro la violenza verso le donne servirebbe, più che piagnisteo e pipponi moralistici, anche serie campagne di prevenzione rivolte alle signorine, svelando alcuni segreti rivelati nei corsi di logica patriarcale:

-> la prudenza serve per evitare di finire in situazioni spiacevoli. L’imprudenza non giustifica il carnefice ma spesso spiega bene perché la vittima sia diventata tale. [istituzioni di logica patriarcale]

-> se scegli lo stronzo violento (e proprio perché stronzo violento) poi ti trovi a stare con uno stronzo violento [logica patriarcale]

-> uno stronzo violento si comporta da stronzo violento [logica patriarcale superiore]

Senza, spiace dirlo, ma le manifestazioni mi sembrano tanto le frignate senza senso di gente che ancora confonde la realtà con i loro desideri. Vivere nel villaggio dei puffi sarebbe puffissimo ma purtroppo non viviamo nel villaggio dei puffi.


  1. la proposizione “a” è un costrutto del sardo, brutalmente italianizzato; in sardo i verbi come vedere, chiamare quando si parla di una persona precisa richiedono la “a” davanti al nome.