Ho trovato questo articolo interessante; perché mostra impietosamente tanto piagnisteo legato al mondo del lavoro e di come stage ed esperienze formative vengano fraintese dall’una e dall’altra parte della barricata.
Divertente il refuso iniziale: “uno su mille non ce la fa” significa dire che i restanti novecentonovantanove riescono.
Sorgente: Stage, tirocini non pagati, sfruttamento… Ormai nemmeno uno su mille ce la fa – Il Fatto Quotidiano
Bamboccioni, sdraiati, iperconnessi, pappemolli… e stagisti. Uno su mille non ce la fa
Queste sono le tante etichette appiccicate addosso alla generazione dei Millennials. L’ultima, “pappemolli”, è proprio una mazzata visto che viene da Breat Easton Ellis, scrittore americano di romanzi cult come Less than zero (1985) e portabandiera della young generazione di allora.
Comincio dall’ultima categoria, quella degli stagisti, praticanti, apprendisti, applicanti di summer job (Salvini, al quale non piacciono gli inglesismi, direbbe “lavoretti estivi”).
Piccola nota: cosa ci sarebbe di male nell’utilizzo dei termini in italiano, molto più appropriati del disgustoso “italiese” di applicanti di summer job? alla fine pur di prendersela con salvini fanno figure barbine che paradossalmente lo favoriscono. Sinceramente alla lettura della frase ho pensato a questa barzelletta.
E’ un esercito di senza lavoro che sperano di trovarne uno partendo dal basso, umilmente, accettando “proposte indecenti” in nome di un’esperienza lavorativa non retribuita ma almeno formativa, da far “brillare” un curriculum ancora acerbo. Invece in nome di quella “straordinaria” macchina di sfruttamento operante in tanti paesi e in tante coscienze, ne sono vittime.
L’estate, poi, è l’alta stagione degli stage. La lista è infinita, di chi di si para il fondoschiena e offre un tirocinio in cambio di manovalanza a costo zero. Io la chiamo macelleria sociale, e voi? Ho figli in età di stage, dunque conosco un po’ la materia. Mio figlio, 19 anni, prima di cominciare Marketing and Advertising all’Universita Pepperdine, vuole avere un assaggio del mercato professionale a Los Angeles. Una casa di moda, un brand giovanile da influencer, gli offre uno stage di tre settimane, con possibilità di estenderlo. Al ragazzo viene affidata la mansione, carica di responsabilità, di appendere i vestiti sulle grucce. Ovviamente gratis.
Tramite la segnalazione di un amico di un amico gli si aprono le porte di una casa di produzione a Hollywood. Questa volta, pensa il ragazzo, farò qualcosa di serio. Socialmente utile di certo, viene messo a fare l’usciere: apre e chiude le porte a gente che va, gente che viene. La promozione non si fa attendere e dopo un mese va ad occupare il posto da centralinista e risponde al telefono. Altro che major: non è previsto neanche un minimo di salario. Resiste un altro mese.
Se gli stage non erano formativi perché li ha fatti? Mah. In realtà quando ho letto la storiella ho pensato a tanti ragazzini, e genitori, convinti che nell’alternanza scuola-lavoro sarebbero stati messi immediatamente ad operare in ruoli “critici” per l’azienda. Peccato che per ruoli “critici” le aziende tendano a preferire persone che “referenze alla mano” possano dimostrare di essere adatte a svolgere un tale lavoro. Terra terra se sei un pischello alle superiori ti coinvolgo per aspetti marginali del lavoro, non ti metto da solo a svolgere lavori delicati, approcciarsi al mondo del lavoro significa anche capire “cosa si sa fare” e come lo si può dimostrare. Il ragazzo cosa sapeva fare? e cosa si aspettava di fare se non aveva alcuna esperienza? Sarò cinico ma se ti aspetti di uscire da scuola ed essere assunto come CEO da qualche parte con il pil del Rwanda come stipendio mensile (+ benefit) è molto probabile che finirai deluso.
C’è da dire che anche appendendo vestiti vedi come funziona il negozio, come dialogano i reparti, come si organizza il personale, come si svolgono le vendite, come si muove la gente che vuole acquistare e come la si supporta e convince. Riporto un mio brano che scrissi riguardo all’alternanza scuola lavoro:
Se io devo investire in una nuova assunzione su chi mi conviene puntare? su chi, referenze alla mano, mi dimostra che certe cose le ha viste e magari le ha capite o su chi dice di averle fatte ma non può dimostrare alcunché? Chi parla di stage passati solo a servire il caffè e/o a fare fotocopie dimostra, impietosamente, di non essere capace di vedere cosa sta capitando sotto i suoi occhi; di essere incapace di vedere cosa sia un ciclo produttivo o quali siano gli scopi del reparto, o dell’ente, cui sta lavorando. Di dire cosa stanno facendo i colleghi per i quali stava facendo fotocopie. Più che un “poverino costretto a fare fotocopie (nonostante un curriculum mirabolante)” vedo un: “persona incapace di cogliere le opportunità di imparare”.
Immaginiamo la scena;
caso A: “buongiorno, vedo che ha fatto uno stage nella società X/al comune Y; cosa le è rimasto dello stage?” “ho visto come funziona il ciclo di produzione ho visto come si svolgono gli incontri con i fornitori/clienti, ho visto come si prepara una determina, un regolamento, una gara d’appalto.”
caso B: “buongiorno, vedo che ha fatto uno stage nella società X/al comune Y; cosa le è rimasto dello stage?” “ho fatto fotocopie.”
Si nota qualche differenza? faccio notare anche che nel caso A quello che viene risposto è: “ho visto questo e quell’altro”, non “ho fatto quello e quell’altro”. Il caso A è qualcuno pronto a cogliere le occasioni per imparare; il caso B invece è il classico studente che se non viene ordinato esplicitamente di imparare si limita a fare il minimo per arrivare al sei. Se foste il direttore del personale di una azienda, su chi investireste?
In Italia non siamo meno cialtroneschi: a mia figlia, 18 anni, e a tre sue amiche, iscritte a un famoso Istituto di moda e design di Milano, viene offerto un ministage di sei giorni durante la Design Week, quando Milano si trasforma in vetrina globale di creatività. Le ragazze si fregano le mani dalla contentezza. Pazienza se non ci pagano, vale anche come un credito, sì un solo punto, per gli esami. A loro sembra strategicamente interessante. E strategica sarà la posizione, dalle nove del mattino alle sei del pomeriggio all’ingresso del Salone del Mobile di Rho per indicare alla fiumana di gente dove sono le toilette. Motivazioni afflosciate come aquiloni senza vento. Nessuno ha nulla in contrario al lavoro di hostess, ma almeno che le ragazze siano pagate e non sfruttate.
Io invece mi porrei due domande: la prima è come mai il famoso istituto di moda accetta come formativa una esperienza di tale tipo. Se le aziende usano stagiste al posto delle hostess è anche perché ci son stagiste pronte a vendersi per 1 punto di credito universitario.
Seconda domanda: le ragazze cercavano uno stage o cercavano un lavoro? Non è che se entro in pizzeria, chiedo una margherita e mi danno una pizza mi possa arrabbiare perché volevo un fiore. Per il resto ripeterei le riflessioni che ho fatto riguardo all’esperienza precedente.
Vado all’installazione di Hermès e chiedo a uno dei ragazzi chaperon, istruito a mostrare le meraviglie dell’ artigianato della maison, quanto guadagna al giorno: tramite agenzia di servizio, un’ottantina di euro, tutto regolare. Ovvio che Massimiliano Locatelli, architetto geniale, abbia la lista d’attesa per fare uno stage presso la Locatelli Partners, studio di progettazione tra i più conosciuti al mondo, sorride: “Li facciamo lavorare sul serio e li paghiamo sul serio”. Massimiliano e’ una mosca rara, se andiamo al Sud siamo messi anche peggio. Mia nipote Sveva quasi giornalista professionista (non posso scrivere il cognome, altrimenti non la fanno più scrivere) quando propone articoli, inchieste su Napoli, visto che il brand tira, a giornali locali e nazionali, si sente rispondere: “Siccome l’editoria è in crisi, non possiamo pagare”.
e lei continua a farli? Cinicamente: scema lei che continua a picchiare la testa al muro sperando che il muro si rompa; non te lo pagano o pretendono di pagarlo in visibilità? Non venderlo, nessuno ti obbliga.
Ci salva il grido di speranza di Aldo Masullo, un ragazzo di 96 anni, uno dei più grandi filosofi contemporanei: “Il mondo è ancora giovane. Non lasciatevelo scippare”. Si vabbè, ma neanche Gianni Morandi canterebbe più “Uno su mille ce la fa”. Al decreto Dignità che promette meno disoccupazione cambierei semplicemente nome: decreto senza dignità!
Non è che se io apro un negozio specializzato in articoli da Curling a Villasimius, con i commessi che parlano solo ed esclusivamente greco classico, poi la gente debba venire obbligata a comprare i miei prodotti. Se il mio prodotto non interessa, o costa troppo per la persona che dovrebbe acquistarlo, non viene comprato. Invece di fare questa semplice e banale riflessione si preferisce frignare contro il governo che mi toglie la dignità perché sono “Vozzi pVoletaVi che non amano il cuVling” e non capiscono la bellezza di parlare il “gVeco antico”. Ma quello non è un discorso di dignità, è un discorso di dimostrare di avere quel minimo di capacità razionali da non dover chiedere alla magistratura l’interdizione e la nomina di un tutore legale.