aperture domenicali e festive e turismo.

Se si vuole avere una prova della cialtronaggine dei sindacati italiani basta vedere le polemiche e i picchettaggi per le aperture festive. Comportamento stupido in quanto si preferisce una logica di scontro frontale in perfetto stile anni ’70 ad una trattativa ove a fronte dell’apertura festiva del negozio si strappano incentivi o assunzioni.
Se devo lavorare sette su sette ho bisogno di più personale rispetto a quando l’orario di lavoro è di cinque su sette. Ergo ci son margini per trattare incentivi, straordinari e assunzioni. Invece in molti casi si lotta per segare il ramo cui si è seduti e poi, una volta caduti a terra, lagnarsi contro tutto e tutti tranne che contro il vero responsabile: la propria stupidità.

Io ricordo quando la domenica era giorno di chiusura e i negozietti facevano orari tarati su quelli della maggioranza della clientela, le casalinghe. Aprivano verso le 9 e chiudevano alle 13. Ed al pomeriggio aprivano dalle 17/18 alle 19/20, poca gente faceva la spesa al pomeriggio perché la maggior parte delle casalinghe comprava al mattino. Ed una famiglia in cui entrambi avevano un orario rigido 8-14 come faceva a fare la spesa? dovevi correre al mattino sperando che la macelleria aprisse in orario per poi correre al lavoro e ti dovevi attrezzare per fare spesone per la settimana.

Per non parlare dell’estate; tutte le volte che il comune cercava di organizzare dei turni affinché in ogni quartiere rimanessero aperte un paio di rivendite di alimentari, puntualmente si scatenava la protesta: “io lavoro ed ho diritto ad andare in ferie quando voglio (ad agosto a Pula o Villasimius). E chi rimaneva aperto faceva orari da signore e prezzi venivano leggermente ritoccati verso l’alto1.

L’arrivo della GDO fu una boccata di ossigeno: orari comodi anche per chi lavorava; si poteva andare a fare la spesa alle 16, non dovevi girare per cinque o sei negozi e potevi tornare a casa in tempo per preparare la cena.  Ovviamente i piccoli commercianti persero “immediatamente” tutti i clienti “lavoratori” con orari rigidi che si trovavano a dover far le corse per fare la spesa, partì una guerra senza quartiere contro la GDO2, guerra che, per fortuna, persero e persero di brutto.

Una cosa che molti non hanno capito nel commercio è che vendere significa convincere chi ha i soldi a venire a darteli in cambio della tua merce, non che chi ha i soldi ha l’obbligo di venire a darteli e deve anche ringraziarti perché stai facendo il favore di vendere a lui. Io vado dove mi viene comodo comprare; magari sono in gita, vado al ristorante del centro commerciale e, nel caso, se vedo qualche cosa di interessante nelle vetrine vicino al ristorante entro e la compro. Ovviamente se vedo qualcosa di interessante la domenica, e non son del posto, difficilmente ritornerò il lunedì per comprarla.

Tanto per dirne un’altra, a Villasimius, località marittima del sud est sardegna, le aperture, d’estate son aperti tutti i giorni anche a ferragosto, e gli orari dei negozi pomeridiani sono tali da permettere lo “shopping post mare”; tutti i negozi chiudono alle 22 durante la settimana e alle 24 il venerdì ed il sabato quando le vie del paese son piene di gente. Perché? per non mettere il turista davanti alla scelta: o mare o shopping ma facilitarlo a fare entrambi. Pretendere una chiusura dei negozi alle 19 significherebbe fare perdere, spannometricamente, un buon 70% di incassi.
Molti preferiscono la formula “shopping e mare” perché comoda per il turista e conveniente per il commerciante. Passare alla formula: o shopping o mare significherebbe perdere incassi dal commercio che turisti, che tendono ad andare dove si trovano meglio ed hanno maggiori comodità3.

 

 


  1. Quando ero alle elementari nel quartiere c’erano due rivendite di alimentari che avevano le patatine san carlo; patatine che venivano vendute con il prezzo imposto, 800 lire se non ricordo male. Quando uno dei due chiuse a causa della malattia della titolare l’altra mise un cartello che le patatine costavano 200 lire in più oltre al prezzo imposto. Questo per capire quanto io creda alle storie dei piccoli commercianti che si strappano il cuore per venderti i migliori prodotti al miglior prezzo possibile. 
  2. Quando vicino a casa predisposero un grosso centro commerciale, ci fu, da parte dei piccoli commercianti molta protesta. La cosa più umoristica è che chiedevano contemporaneamente sia che il supermercato non aprisse, sia che procedesse con le assunzioni di tutto il personale selezionato (commesse, magazzinieri, pulizie, vigilanza, logistica, amministrazione). La direzione, che si beccò anche accuse di fascismo, fece invece un ragionamento semplice: “se posso aprire, le persone mi servono e quindi procedo con le assunzioni, se non posso aprire le persone sono inutili e quindi non si procede con le assunzioni.” 
  3. ci son riusciti a capirlo anche a Pula e Villasimius, soprattutto quando hanno iniziato a soffrire della concorrenza di Spagna e Croazia; se vuoi turisti e turismo devi fornire i servizi ai turisti e trattarli bene; una rivoluzione copernicana rispetto all’andazzo precedente: “salta addosso al pollo e cerca di spennarlo il più possibile che tanto l’anno prossimo arriverà un nuovo pollo”. Adesso praticamente Villasimius paese vive dalle 18 circa alle 22 od alle 24, pieno di gente e con tutti i negozi aperti, spettacolini nelle strade ed eventi. E tanta gente che spende. 

Codiamo, codiamo tutti…

L’incompetente non conosce le regole, il capace conosce le regole, il guru sa quando è il caso di violare le regole

Su faccialibro mi hanno coinvolto in una discussione sul coding alle elementari, ove per coding si intende l’insegnare il pensiero computazionale e i fondamenti della programmazione. Le obiezioni erano essenzialmente tre:

-> il coding, il saper programmare è una competenza troppo specialistica per essere insegnata.

-> meglio l’insegnamento “analogico” al digitale,

-> costringe gli studenti ad un pensiero rigido, a pensare per zero ed uno, uccidendo la creatività e tasformandoli in tanti piccoli robot. 1

Più una quarta che i progetti in realtà servivano per favorire le multinazionali del software ovvero la microsoft2; un poco di sano gombloddismo non guasta mai.

A me sembra che sul coding si faccia un sacco di confusione, come al solito, e che molti scrivano solo perché sottomano hanno una tastiera.

Prima considerazione: “coding” altro non è che il solito vizio italiano di usare una parola nuova per un concetto vecchio, il pensiero logico computazionale, per farlo passare come moderno. Il pensiero logico computazionale; il pensare in maniera matematica, conoscere, saper descrivere gli algoritmi, saperli utilizzare, è il fondamento di tutta la matematica e, conseguentemente, di tutte le scienze. Prima che venisse chiamato coniato il termine “coding” era quello che imparavi quando studiavi le tabelline e la geometria e ti esercitavi a risolvere i problemi come: Anna, Bruno e Carla hanno ognuno tre mele, quante mele hanno in tutto? Vogliamo preparare una tovaglia per un tavolo quadrato che ha il lato di 50 cm; quanti metri quadri di stoffa dobbiamo comprare? se la stoffa costa 8 euro a metro quadro, quanto spendiamo? Roba che alle elementari si è sempre fatta, solo che si chiamava aritmetica e geometria, e che si dovrebbe continuare a fare anche oggi. Chiamarla coding la fa sembrare qualcosa di figo, di moderno e di innovativo. Invece è la cara vecchia buona aritmetica.
Scava scava il linguaggio di programmazione è solo uno strumento, le strutture base della programmazione (istruzione, iterazione, scelta) son le stesse di qualsiasi algoritmo matematico e consentono di descrivere qualsiasi algoritmo e, conseguentemente, qualsiasi programma.  Il fatto è che molti confondono l’informatica con il saper usare il computer; il che è come dire che il conoscere l’ingegneria meccanica dei motori automobilistici è la stessa cosa di avere la patente e saper guidare una macchina. Usare il computer a scuola non è fare informatica come guidare non è fare progettazione di motori. Invece molti continuano a confondere la materia con lo strumento. Vero anche che molti su questa ambiguità ci giocano per lucrarci sopra. Quando insegnavo ho avuto problemi con ragazzi, convinti che l’informatica fosse la patente europea del software, si son trovati spiazzati quando invece di uord e uindos si è parlato di diagrammi di flusso e algoritmi.

Seconda considerazione: anche con l’informatica puoi fare insegnamento “analogico”; usare un mazzo di carte per spiegare gli algoritmi di ordinamento, fare il gioco delle venti domande per trovare una parola nel vocabolario, applicare tanti algoritmi “informatici” e modelli al mondo reale; prendere la ricetta della pizza come esempio di programma e convertirlo in un flow chart. Tante attività “analogiche”, coding non significa abbandonare i ragazzi davanti al PC.

Terza considerazione: una delle obiezioni contro il coding che ho sentito è: “insegna a pensare per zero ed uno, con regole rigide, riducendo l’alunno ad un automa”. Colossale uomo di paglia. Vorrei vedere un informatico che uno che “pensa” solo con una variabile binaria; si puàò pensare anche per “nibble” (4bit),  byte (8),  “word” (16)  e se proprio serve  “longint” (64 bit) 😀  In realtà la scuola già insegna a pensare con regole rigide di per sé, prendiamo ad esempio la grammatica: ci son regole “rigide” che impongono la concordanza del soggetto con il verbo o che vietano di usare un tempo futuro per parlare di eventi passati. “ieri io andrete al mare” è una frase che non significa niente. E non significa niente perché non rispetta le regole di concordanza del soggetto (io) con il verbo (seconda persona plurale) e non rispetta neppure le regole sui tempi, il verbo è al futuro mentre “ieri” fa riferimento al passato. La grammatica e la sintassi hanno le loro regole rigide quindi, se la rigidità delle regole uccide l’intelligenza e rende le persone automi, per coerenza sarebbe da eliminare anche la grammatica e la sintassi3 nell’insegnamento dell’italiano.

L’ultima considerazione sono invece le solite frignate “scolastiche” di chi cerca di verniciare con tanto idealismo i suoi bassi interessi di bottega, ovvero il non volersi aggiornare, il non voler imparare cose nuove per trasmetterle agli studenti.  Quello che trovo buffo è che i giorni pari ci si lamenti che i privati non investano nella scuola e i giorni dispari ci si lamenti del non voler diventare “schiavi” di chi nella scuola vorrebbe investire. Il solito “mamma ciccio mi tocca, toccami ciccio che mamma non vede”.

Uno dei compiti più importanti della scuola è fornirti un bagaglio culturale per interpretare, capire e saper agire nella maniera ottimale con il mondo; ed il pensiero logico matematico, o pensiero computazionale, rimane uno strumento molto potente per riuscirci. La scuola deve insegnarti a pensare non darti solo una sterile quanto inutile erudizione basata solo su tante nozioni disconnesse e avulse dalla realtà, senza che ti venga insegnato ad utilizzare tali nozioni, a collegarle ed a ragionarci sopra. E il coding altro non è che uno strumento per “applicare” il pensiero logico allo stesso modo dei problemi di aritmetica.

 


  1. una cosa che trovo divertente è che l’algebra di Boole che descrive la logica binaria altro non è che la formalizzazione matematica della logica aristotelica. Quindi lo studio di Aristotele e della filosofia è nocivo. Quando si parla di ironia. 
  2. Già il pensare che il software si riduca ai prodotti microsoft mostra quanto sia approfondita la conoscenza dell’informatica; e questo fa porre qualche sospetto su quanto possano essere appropriate certe obiezioni. 
  3. purtroppo temo stia già avvenendo, basta dare una lettura ai messaggi nei social. :-( 

cargo cult ed ingegneria gestionale

Il cargo cult (culto del cargo) è un culto religioso sviluppato da alcune popolazioni aborigene durante la seconda guerra mondiale; si trattava del copiare gli aeroporti e dell’imitare il comportamento del personale aeroportuale. Si parla di “cargo cult” quando qualcuno copia la forma senza però aver capito nulla della sostanza.

Una cosa che accomuna l’ingegneria del software e l’ingegneria gestionale è che spesso diventano oggetto di Cargo Cult da parte di incompetenti. Molti erroneamente ritengono che si tratti di attività facili, alla portata di chiunque, e che basti imitare vagamente la forma: diagrammi e tabelle, per arrivare alla sostanza. E quando tentano di reinventarsi ingegneri ottengono risultati che vanno dal comico al tragico (soprattutto per chi deve sopravvivere alle loro sparate o cercare di riparare).

Stamattina ho avuto un esempio di cargo cult dell’ingegneria gestionale; gli HR hanno chiesto la compilazione di una tabella sulle attività svolte. Nulla da eccepire, un feedback sulle attività è utile ed anche dovuto. Però ho trovato strano che mi venga chiesto l’autput (scritto così invece di output) del mio lavoro misurato secondo una metrica assurda ed inadatta.  Metrica di valutazione delle attività informatiche azzeccata più o meno come l’usare come metrica per valutare un giocatore di calcio il numero di rimesse laterali effettuate.

Proprio un esempio da manuale di cargo cult dell’ingegneria gestionale.

 

W i marò

Qualcuno potrebbe consigliarmi sul modo migliore di spiegare ad un simpatico amico indiano, che se si visualizza un sito italiano facendolo tradurre in inglese da google translate, anche i nomi delle strade possono venire tradotti e quindi essere diversi dal nome in italiano.
Grazie.

mazza
Un efficace strumento didattico.

 

Il problema degli amministrativi che non capiscono un cazzo.

Talvolta capita che un tecnico informatico debba predisporre dei progetti e che si materializzi il suo peggiore incubo: che il progetto prima di essere consegnato ai  tecnici informatici dell’altra parte venga vagliato, e corretto, dagli amministrativi, che di informatica non capiscono un cazzo e che si limitano a ripetere  quattro slogan alla moda generando situazioni fra il drammatico e il surreale.

A me son capitati alcuni episodi; agli albori dell’informatica (~AD 2002 circa) mi era stato chiesto di predisporre la rete LAN di un’aula di informatica e configurare il router e i PC affinché andassero in rete. E scrivere un rapportino da consegnare al tecnico che avrebbe seguito la rete. Lo faccio e preparo due paginette: gli indirizzi dei PC sono questi, il DNS è quest’altro, il gateway questo, gli switch son questi altri. Due paginette scarne con le informazioni essenziali sulla rete e sugli apparati. Consegno il documento al mio referente amministrativo, lo guarda e mi dice che era troppo scarno. Che doveva essere di almeno 60 (sessanta!!!) pagine e 5 (cinque!!!) diagrammi per essere considerato accurato.
Preparo il documento richiesto scrivendo un sacco di cavolate inutili come il datasheet completo delle schede di rete, diagrammi scontati in cui specifico che tutti i PC sono collegati fra loro ed al router attraverso lo switch, che i cavi di rete son da collegare alla presa di rete dei PC  e alla placca presente in stanza (il IV segreto di fatima) e lo consegno.
Due giorni dopo mi arriva una telefonata dal collega, informatico, che mi chiedere perché avevo scritto tutte quelle stronzate invece di fargli avere due paginette scarne…

Altri episodi che capitano sono che mentre tu parli di cosa vorresti ottenere loro si concentrano sul come ottenerlo e viceversa: “Dunque il portale avrà delle maschere per interagire con gli utenti e permettere loro di segnalare questo e quello. Ma perché non si usa il prodotto XYZ?”
Richieste di evidenziare parti che, per un tecnico sono scontate; roba del tipo: “Ma perché non hai specificato che quando treno si ferma alla stazione allora non si sta muovendo?”.
E l’interazione con i tecnici della controparte è difficoltosa, sopratutto se il messaggio non è trasmesso “AS IS” ma viene interpretato e viene trasmessa l’interpretazione; la richiesta: “posso avere la struttura della base dati comprensiva della descrizione delle chiavi e delle relazioni” viene tradotta in “potete darci il database delle chiavi completo?

Qual’è il problema dell’approccio: “non capisco un cazzo ma voglio mettermi in mezzo per far vedere che io so fare (grandi cazzate?)” Essenzialmente due:

la prima è che una volta che arriva il documento “corretto” ai tecnici della controparte penseranno che sia stato scritto da un qualche incompetente che si guardava hackers mentre era in overdose di allucinogeni e quindi non capisci se hai a che fare con una persona capace tecnicamente che ha la sfortuna di essere diretto da un incompetente che si vuole mettere in mezzo oppure hai a che fare con in perfetto imbecille. Informazione fondamentale per valutare quanto possa essere proficuo adottare la soluzione di scavalcare gli amministrativi quando c’è da discutere di questioni prettamente tecniche.

E la seconda è che si deve perdere tempo a spiegare ad un non tecnico questioni che, per mancanza di informazioni e di background tecnico, non può capire pienamente e cercare di tenere il progetto coerente e corretto in maniera che passi sia la valutazione amministrativa che quella tecnica. Purtroppo l’amministrativo pensa che il progetto sia destinato al suo corrispondente dell’altra parte e quindi sia capibile da lui e non pensa che prima o dopo, spesso purtroppo dopo, ci sarà anche la valutazione tecnica. E questo spiega come molti progetti, ben disegnati e descritti si trasformano in pastrocchi pasticciati e infarciti di buzzword perché,devono far colpo sul commerciale dell’altra parte, per poi finire cassati dalla parte tecnica perché pastrocchi pasticciati e infarciti di inutili buzzword. (E ovviamente la colpa è dell’informatico che non capisce nulla…)