la palla più grossa è quella pentadimensionale

A quanto pare fra tutte le possibili ipersfere, generalizzazioni a n-dimensioni della sfera, quella che a parità di raggio racchiude l’ipervolume maggiore è quella a cinque dimensioni;

Devo dire che son sorpreso, pensavo che l’ipervolume aumentasse all’aumentare del numero di dimensioni.

fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Ipersfera, https://en.wikipedia.org/wiki/N-sphere

 

Disclamer

Qualunque riferimento a fatti, persone, partiti o movimenti politici esistenti è non voluto e puramente casuale.

 

 

le scie(me)nze dei tribunali 2

Altra sentenza che sicuramente farà discutere (grassetti miei):

A Firenze il Tribunale fa spegnere il Wifi a scuola. Un atto straordinariamente innovativo

Sorgente: A Firenze il Tribunale fa spegnere il Wifi a scuola. Un atto straordinariamente innovativo – Il Fatto Quotidiano

Prima i giudici del Tar del Lazio condannano i Ministeri dell’Ambiente e dell’Istruzione a promuovere entro sei mesi una campagna d’informazione (anche sui giovani) per denunciare i rischi dell’uso di telefoni cellulari. E adesso il Tribunale di Firenze dispone l’immediato spegnimento del WiFi per proteggere la salute di un minore: le aule dei tribunali sfornano pareri precauzionali in piena corsa al 5G, l’insidioso wireless di quinta generazione privo di studi preliminari sugli effetti su ecosistema e salute umana, per il quale l’avvocato Stefano Bertone al Corriere della Sera (edizione Torino) ha ventilato l’ipotesi di un ricorso d’urgenza ex art. 700 codice civile per “bloccare tutto in presenza di un periculum in mora”.

(…)

Il dispositivo d’urgenza, come sottolinea l’avvocato Agata Tandoi, difensore della famiglia di “Mario” (nome di fantasia del minore), non è una sentenza ma un atto preliminare frutto della presunzione dell’esistenza di sufficienti barriere ambientali per il piccolo alunno: il giudice, infatti, ha disposto lo smantellamento di router e hotspot ben prima del verdetto finale e senza aver ancora instaurato il contraddittorio tra le parti convinto che il trascorrere del tempo possa cagionare un grave danno al diritto costituzionale per la tutela della salute del bambino, immerso nel brodo elettromagnetico della scuola. Tradotto: a marzo è stata fissata l’udienza per discutere se lo spegnimento del Wi-Fi sarà temporaneo o definitivo.

Il ragionamento prudenziale del giudice Zanda, inedito ma straordinariamente innovativo in materia d’elettrosmog, muove dalla constatazione del fatto che la scuola vicina all’Arno sia attualmente irradiata dalle onde non ionizzanti, campi elettromagnetici emessi dal Wi-Fi, pericolosi per la salute umana “visti gli approdi della comunità scientifica sull’esposizione prodotte dai dispositivi senza fili”, tanto più rischiosi per Mario, affetto da una grave patologia per la quale i medici di strutture sanitarie – come documentazione prodotta in tribunale dai genitori – hanno già comprovato “la sensibilità a campi elettromagnetici”. Ma non è tutto.

Sarei curioso di leggere tale documentazione e come il ragazzo si accorga della presenza di campi elettromagnetici. Faccio anche notare che parla di campi elettromagnetici senza specificare le loro caratteristiche fisiche fondamentali ovvero lunghezza d’onda (o frequenza) e intensità. Secondariamente vorrei sapere come è stata dimostrata questa sensibilità. Perché se i medici son riusciti a dimostrarla in maniera “scientificamente inoppugnabile”, signori il nobel non glielo leva nessuno. Ma temo che sia il solito rapporto iperprudenziale pieno di “il paziente sostiene che”, “siccome non si è dimostrata l’assoluta sicurezza meglio che…”.

Temo che a marzo si potrà riaccendere tutto visto che della malattia denominata elettrosensibilità non ci sono prove “oggettive” che la dimostrino1.

Significativo è anche il passaggio in cui il magistrato afferma come nella scuola “il servizio Internet può ben essere garantito dall’istituto anche mediante impianti che non producono elettrosmog, senza il ricorso al Wi-Fi senza fili”, puntando evidentemente sulla lungimiranza del Decreto 11 Gennaio 2017 emanato dall’ex ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti che, in tema di inquinamento indoor per gli uffici della pubblica amministrazione, dispose la sostituzione del Wi-Fi col più sicuro cablaggio, (…)

A me sembra che il magistrato abbia copiato “paro paro” la memoria presentata dal richiedente dando, come prassi, ragione finquando non si arriva a processo, anche perché un magistrato non è un fisico e non è detto capisca di elettromagnetismo.

(…) mentre il Comune di Brescia ha poi cablato quelle nella sua municipalità così come, tra le polemiche di quanti sviarono il cuore del problema, in via prudenziale il sindaco di Borgo Franco d’Ivrea ha reso elettrosmog free le sue aule).

Sarebbe interessante usare un misuratore di campo em in quella scuola e misurare i vari campi radio presenti. Ci sarebbe da ridere alquanto.

 


  1. Che io sappia nessun elettrosensibile in un esperimento a doppio cieco è riuscito a riconoscere se, in assenza di led o altro, un router wifi stesse trasmettendo o fosse solo una scatola vuota. 

le scie(me)nze dei tribunali

Una decisione che definirei leggermente “demenziale”: Cellulari, Tar del Lazio obbliga i ministeri a fare informazione su rischi connessi al loro uso: “Campagna entro 6 mesi” – Il Fatto Quotidiano.

Vorrei leggere la sentenza e le motivazioni; anche perché se mi dovessi basare solo sull’articolo e su quello che scrive la decisione mi sembra demenziale ed antiscientifica; non ci sono evidenze scientifiche che mostrano un nesso di casualità fra l’uso del cellulare e l’insorgenza di tumori. Una campagna per “informare” sui pericoli dei campi EM emessi dai cellulari sarebbe uno spreco enorme; una per informare dei pericoli connessi all’uso improprio del cellulare invece potrebbe essere anche giusta, soprattutto se per “uso improprio” si intende il guardare al cellulare invece che la strada o l’usare il cellulare per interagire con i social mentre si è alla guida. Se invece la decisione è proprio quella che raccontano i giornali sarebbe un’ennesima decisione scientificamente agghiacciante della magistratura italiana. E poi ci si chiede come mai nella ricerca scientifica l’italia è snobbata.

(…)Per i giudici, infatti, risulta che già il 16 gennaio 2012 il ministero della Salute aveva evidenziato che il tema dei possibili rischi per la salute conseguenti all’uso del cellulare fosse alla costante attenzione del ministero stesso. Il dicastero aveva evidenziato come il Consiglio Superiore di Sanità, in un parere del 15 novembre 2011, aveva rilevato che allo stato delle conoscenze scientifiche non fosse dimostrato alcun nesso di causalità tra esposizione a radiofrequenze e patologie tumorali, rimarcando tuttavia come l’ipotesi di un rapporto causale non potesse essere del tutto esclusa in relazione a un uso molto intenso del telefono cellulare, e comunque raccomandato di mantenere vivo l’interesse della ricerca e della sorveglianza sul tema. In tal senso si era mosso ad aprile 2017 anche il tribunale di Ivrea, che aveva riconosciuto un nesso causale tra l’utilizzo prolungato del cellulare e un tumore di un tecnico Telecom.

Faccio notare come una sentenza sia la prova che il cellulare causa tumori; beh signori nella causa Bellarmino vs Galilei un tribunale ha sentenziato che la terra è ferma intorno al sole; quindi è giusto che l’INAF presenti il sistema geocentrico e non parli solo dell’eliocentrico.

Il Tar quindi, constatando che “nonostante il ragguardevole lasso di tempo intercorso, la preannunciata campagna informativa non risulta essere stata ancora attuata”, ha deciso di obbligare i due ministeri ad adottare in tempi brevi una iniziativa informativa, volta proprio a prevenire i rischi per la salute e per l’ambiente connessi a un uso improprio degli apparecchi di telefonia mobile. “La predetta campagna d’informazione e d’educazione ambientale – si legge infine nella sentenza – dovrà essere attuata nel termine di sei mesi dalla notifica, avvalendosi dei mezzi di comunicazione più idonei ad assicurare una diffusione capillare delle informazioni in essa contenute”.

io spero che per uso improprio si intenda il guardare il cellulare mentre si guida, l’ascolto di musica a volume altissimo con le cuffie o il piazzarsi il cellulare in carica sotto il cuscino… spero…

con un caso singolo non si può confutare una statistica…

Per la statistica un italiano su 200 è molisano, ma io conosco un sacco di persone e nessuna di esse è molisana; ergo il Molise non esiste.
[prova statistica della non esistenza del molise]

Una delle prove della crassa ignoranza matematica si ha quando qualcuno cita una statistica, ad esempio: “il 97% degli italiani non ha il SUV”, qualcun’altro salta su a smentirla citando casi singoli: “ma mio cuGGGino ha tre SUV in garage quindi la statistica è falsa”.

Questo è un pattern che ho visto in un sacco di casi nei media; esce un articolo che parla della bassa qualità dei laureati italiani e della loro crassa ignoranza; allora in qualche giornale troverai l’intervista a quello che ha vinto il nobel con il giornalista che scrive: “vedete la statistica è falsa, qui c’è un laureato che ha vinto il nobel”. Oppure se si parla delle donne che prendono meno degli uomini: “ma barbara berlusconi guadagna più della maggior parte degli italiani pisellomuniti”.

Purtroppo per smentire una statistica occorre avere sotto mano dati, tanti dati, e occorre anche saperli analizzare evitando i tanti errori metodologici che possono falsare una statistica, altrimenti non la si sta smentendo, si stanno solo usando fallacie logiche.

 

Sulla serietà delle pubblicazioni scientifiche antivax.

ogni tanto anche sui social si trovano “perle” che riportano la fiducia nel genere umano. Nello specifico si parlava di alcuni “cazzari” antivax  che millantavano pubblicazioni in riviste “open access” dall’impact factor (grosso modo quanto è importante, attendibile e di qualità una rivista).  Quello sotto è il messaggio che parlava di un articolo selezionato per la pubblicazione1 da una rivista open, articolo che dimostra quanto siano attendibili certe riviste scientifiche.

ah, un’aggiunta saporita: la rivista che ha accettato e pubblicato la “ricerca” del grande scienziato in esame [si parla di un celebre antivax italiano NdR] è una rivista open (e per giunta senza impact factor). Vi linko un articolo pubblicato da un’altra rivista open che stressava via mail un ricercatore per avere pubblicato il suo lavoro su di essa. Il ricercatore in esame ha alla fine accettato la richiesta e inviato il proprio lavoro che, ovviamente, è stato prontamente pubblicato dopo un accurato peer review. Vale la pena leggere anche solo le prime 2 righe fidatevi
http://www.scs.stanford.edu/~dm/home/papers/remove.pdf

Sull’argomento, riviste e convegni open e democratici, consiglio anche gli ottimi articoli che raccontano come il dott. prof. Massimo della Serietà ha pubblicato nelle migliori riviste ed è stato invitato ai più rinomati convegni scientifici del mondo.


  1. a leggere wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/International_Journal_of_Advanced_Computer_Technology pare che l’articolo sia stato selezionato per la pubblicazione passando la fase di peer review ma non sia stato pubblicato in quanto l’autore rifiutò il pagamento di 150$ per la pubblicazione. 

Codiamo, codiamo tutti…

L’incompetente non conosce le regole, il capace conosce le regole, il guru sa quando è il caso di violare le regole

Su faccialibro mi hanno coinvolto in una discussione sul coding alle elementari, ove per coding si intende l’insegnare il pensiero computazionale e i fondamenti della programmazione. Le obiezioni erano essenzialmente tre:

-> il coding, il saper programmare è una competenza troppo specialistica per essere insegnata.

-> meglio l’insegnamento “analogico” al digitale,

-> costringe gli studenti ad un pensiero rigido, a pensare per zero ed uno, uccidendo la creatività e tasformandoli in tanti piccoli robot. 1

Più una quarta che i progetti in realtà servivano per favorire le multinazionali del software ovvero la microsoft2; un poco di sano gombloddismo non guasta mai.

A me sembra che sul coding si faccia un sacco di confusione, come al solito, e che molti scrivano solo perché sottomano hanno una tastiera.

Prima considerazione: “coding” altro non è che il solito vizio italiano di usare una parola nuova per un concetto vecchio, il pensiero logico computazionale, per farlo passare come moderno. Il pensiero logico computazionale; il pensare in maniera matematica, conoscere, saper descrivere gli algoritmi, saperli utilizzare, è il fondamento di tutta la matematica e, conseguentemente, di tutte le scienze. Prima che venisse chiamato coniato il termine “coding” era quello che imparavi quando studiavi le tabelline e la geometria e ti esercitavi a risolvere i problemi come: Anna, Bruno e Carla hanno ognuno tre mele, quante mele hanno in tutto? Vogliamo preparare una tovaglia per un tavolo quadrato che ha il lato di 50 cm; quanti metri quadri di stoffa dobbiamo comprare? se la stoffa costa 8 euro a metro quadro, quanto spendiamo? Roba che alle elementari si è sempre fatta, solo che si chiamava aritmetica e geometria, e che si dovrebbe continuare a fare anche oggi. Chiamarla coding la fa sembrare qualcosa di figo, di moderno e di innovativo. Invece è la cara vecchia buona aritmetica.
Scava scava il linguaggio di programmazione è solo uno strumento, le strutture base della programmazione (istruzione, iterazione, scelta) son le stesse di qualsiasi algoritmo matematico e consentono di descrivere qualsiasi algoritmo e, conseguentemente, qualsiasi programma.  Il fatto è che molti confondono l’informatica con il saper usare il computer; il che è come dire che il conoscere l’ingegneria meccanica dei motori automobilistici è la stessa cosa di avere la patente e saper guidare una macchina. Usare il computer a scuola non è fare informatica come guidare non è fare progettazione di motori. Invece molti continuano a confondere la materia con lo strumento. Vero anche che molti su questa ambiguità ci giocano per lucrarci sopra. Quando insegnavo ho avuto problemi con ragazzi, convinti che l’informatica fosse la patente europea del software, si son trovati spiazzati quando invece di uord e uindos si è parlato di diagrammi di flusso e algoritmi.

Seconda considerazione: anche con l’informatica puoi fare insegnamento “analogico”; usare un mazzo di carte per spiegare gli algoritmi di ordinamento, fare il gioco delle venti domande per trovare una parola nel vocabolario, applicare tanti algoritmi “informatici” e modelli al mondo reale; prendere la ricetta della pizza come esempio di programma e convertirlo in un flow chart. Tante attività “analogiche”, coding non significa abbandonare i ragazzi davanti al PC.

Terza considerazione: una delle obiezioni contro il coding che ho sentito è: “insegna a pensare per zero ed uno, con regole rigide, riducendo l’alunno ad un automa”. Colossale uomo di paglia. Vorrei vedere un informatico che uno che “pensa” solo con una variabile binaria; si puàò pensare anche per “nibble” (4bit),  byte (8),  “word” (16)  e se proprio serve  “longint” (64 bit) 😀  In realtà la scuola già insegna a pensare con regole rigide di per sé, prendiamo ad esempio la grammatica: ci son regole “rigide” che impongono la concordanza del soggetto con il verbo o che vietano di usare un tempo futuro per parlare di eventi passati. “ieri io andrete al mare” è una frase che non significa niente. E non significa niente perché non rispetta le regole di concordanza del soggetto (io) con il verbo (seconda persona plurale) e non rispetta neppure le regole sui tempi, il verbo è al futuro mentre “ieri” fa riferimento al passato. La grammatica e la sintassi hanno le loro regole rigide quindi, se la rigidità delle regole uccide l’intelligenza e rende le persone automi, per coerenza sarebbe da eliminare anche la grammatica e la sintassi3 nell’insegnamento dell’italiano.

L’ultima considerazione sono invece le solite frignate “scolastiche” di chi cerca di verniciare con tanto idealismo i suoi bassi interessi di bottega, ovvero il non volersi aggiornare, il non voler imparare cose nuove per trasmetterle agli studenti.  Quello che trovo buffo è che i giorni pari ci si lamenti che i privati non investano nella scuola e i giorni dispari ci si lamenti del non voler diventare “schiavi” di chi nella scuola vorrebbe investire. Il solito “mamma ciccio mi tocca, toccami ciccio che mamma non vede”.

Uno dei compiti più importanti della scuola è fornirti un bagaglio culturale per interpretare, capire e saper agire nella maniera ottimale con il mondo; ed il pensiero logico matematico, o pensiero computazionale, rimane uno strumento molto potente per riuscirci. La scuola deve insegnarti a pensare non darti solo una sterile quanto inutile erudizione basata solo su tante nozioni disconnesse e avulse dalla realtà, senza che ti venga insegnato ad utilizzare tali nozioni, a collegarle ed a ragionarci sopra. E il coding altro non è che uno strumento per “applicare” il pensiero logico allo stesso modo dei problemi di aritmetica.

 


  1. una cosa che trovo divertente è che l’algebra di Boole che descrive la logica binaria altro non è che la formalizzazione matematica della logica aristotelica. Quindi lo studio di Aristotele e della filosofia è nocivo. Quando si parla di ironia. 
  2. Già il pensare che il software si riduca ai prodotti microsoft mostra quanto sia approfondita la conoscenza dell’informatica; e questo fa porre qualche sospetto su quanto possano essere appropriate certe obiezioni. 
  3. purtroppo temo stia già avvenendo, basta dare una lettura ai messaggi nei social. :-( 

Perché insegnare matematica?

insegnamento_matematica

Uomo: Insegnare matematica a scuola è sbagliato.

Donna: se insegniamo le equazioni gli studenti non faranno investimenti idioti. Con la teoria delle probabilità non si faranno fregare dalle previsioni.Con la logica matematica non si faranno fregare dai truffatori.

U: E’ proprio quello che dicevo io. Insegnali le equazioni e non faranno mai acquisti a credito. Insegnali le probabilità e non giocheranno d’azzardo. Insegnali la logica e non compreranno mai cose inutili. In pratica insegna la matematica e buona parte dell’economia moderna andrà a rotoli.

D: MINCHIA. Non avrei mai pensato che l’economia si basasse sull’ignoranza.

U: Prova a spiegare la società moderna in qualunque altro modo.

Via Rettiliano Verace.

Differenza fra nesso temporale e nesso casuale

da: https://www.facebook.com/groups/54316309950/permalink/10154868153264951/#

Vorrei spiegare la differenza tra nesso temporale e nesso causale con un esempio realmente accaduto, anche se temo non serva a nulla.
Dunque. C’è una famiglia, padre, madre e bimbo di otto anni. Cedendo alle insistenze del bimbo, la famiglia va a cena in un ristorante cinese. Mangiano. Tutto ok. Il bimbo è felice, ma…
Uno alla volta , nel giro di due giorni, tutti e tre finiscono in rianimazione: botulismo. Il ristorante cinese viene messo sotto sequestro e la cosa va per il meglio per i tre. Articoli a carattere cubutali sui giornali mettono in evidenza che la famiglia si è ammalata di botulismo a causa del ristorante cinese, qualcuno, più gentilmente, scrive ” dopo aver cenato al ristorante cinese”. Ma. C’è un ma. O meglio ce ne sono almeno due…
1) che probabilità ci sono che il botulismo crei il problema dopo sole 12 ore?
2) come è possibile che il botulino sia stato presente solo nelle pietanze dei tre malcapitati?
Tranne noi poveri sanitari, tutti diedero per scontato il nesso causale tra cena e botulismo pur avendo fatto notare le perplessità scientifiche ( ma chissenefrega della scienza ). Come hanno fatto ad ammalarsi se non con la cena? Era l’unica cosa diversa fatta e quindi automaticamente era quello. Punto e basta.
Caso volle che dopo qualche giorno anche la nonna materna venne ricoverata per botulismo. Però lei non era al ristorante cinese come gli altri, allora che fare? Suggerimmo di sequestrare e analizzare le conserve e si scoprì che c’erano dei barattoli di funghi sott’olio fatti in casa, dalla nonna, che erano contaminati. Per non alterare i sapori, la nonna non acidificava con l’aceto. ” Ho sempre fatto così e non è mai succesdo niente “.
Trovato l’inghippo, una famiglia ha rischiato la pelle, un ristorante è finito in mutande, perché? Per dar retta a luoghi comuni e nessi temporali e non causali.