La scuola per il mondo del lavoro

Uno dei matra di chi lotta contro l’alternanza scuola lavoro è “la scuola non deve formare per il mondo del lavoro ma devono essere le aziende a fare loro formazione”.

Peccato che tale mantra sia una zappa sui piedi niente male; la prima cosa che mi viene da osservare è come tale ragionamento faccia capire come l’autore pensi che la scuola sia un sistema chiuso completamente avulso dalla realtà. 

Immaginiamo che si dica chiaramente che un corso di studi, diciamo “laurea in nientologia teoretica dell’inclusività (NTI)”  è fatto solo per il gusto di studiare la nientologia teoretica dell’inclusività e che non ha alcuno sbocco professionale spendibile nel mondo del lavoro. Un laureato in NTI, per il mondo del lavoro, è solo un diplomato più vecchio di cinque, o più, anni.  

Quindi chi andrebbe a studiare NTI? chi la vuole studiare come sfizio e non chi vorrebbe investire in formazione per poi trovare lavori migliori; anzi, questi ultimi eviteranno quel corso come la peste. E se son molti ci sarà un conseguente, e ovvio, calo degli iscritti. 

Se la scuola “non forma per le aziende” l’effetto che si ottiene è che chi vuole “formarsi per le aziende”, avere in mano qualcosa di spendibile nel mondo del lavoro,  cercherà altri percorsi di formazione evitando la scuola e il secondo è che le aziende si organizzeranno la formazione interna per conto loro mettendosi in “concorrenza” verso la scuola. Tizio che vuole lavorare e rendersi indipendente che farà? si iscriverà al corso di laurea in NTI o parteciperà alla scuola aziendale della Carter&Carter? 

Ovviamente ci saranno tanti piagnistei di come il mondo del lavoro (e non solo) schifi la NTI, che chi non apprezza la NTI è solo un buzzurro analfabeta, che la Carter&Carter ci ruba gli studenti… Strano che chi magnifica la “cultura e le altre magnificenze” che l’NTI ti può dare non riesca a capire un semplice fatto:  se al mio ristorante servo solo piatti vegani, chi  desidera una bistecca non verrà a pranzo da me ma cercherà altri locali. 

Chiariamoci anche su cosa significa “formare per le aziende”; il buffo è che spesso le scuole, per attrarre studenti, fanno a gara a promuovere la materia alla moda del momento, spesso illudendo i ragazzi, magnificando anche “mirabolanti” sbocchi lavorativi. “la scuola non forma per le aziende però le persone da lei formate son contese dalle aziende perché son già formate”, mi sembra una leggera contraddizione. E chi lo dice da l’impressione di avere le idee poco chiare, o di essere un pessimo venditore di auto usate.

La verità è che la scuola deve fare da scuola e dare le basi, basi grazie alle quali poi ci si potrà perfezionare, basi che ovviamente son richieste e gradite dalle aziende. E le aziende si dovranno curare solo della formazione avanzata specifica per l’azienda. Invece mettersi in contrapposizione con il mondo produttivo, serve solo a dare l’impressione che lo scopo della scuola sia solo pagare gli stipendi a chi ci lavora, significa far capire alle persone che la scuola è solo baby sitting economico. Per la cultura e la formazione occorre rivolgersi da altre parti. Ma se trasformi la scuola in un parcheggio non stupirti se il personale poi viene considerato alla stregua di parcheggiatori.

Un pensiero su “La scuola per il mondo del lavoro

  1. Sono “completamente d’accordo in parte” (cit)

    In realtà dovremmo metterci d’accordo su COSA sia la formazione spendibile nelle aziende.

    Beh, a mio modo di vedere, sono 3 cose fatte non bene, ma benissimo:
    – italiano (si fa anche bene, a scuola, ma non riescono mai a fare un esempio – uno – in 8 anni di medie+superiori in cui facciano vedere che chi ha maggiore comprensione del testo ci guadagna qualcosa)
    – matematica (idem come sopra)
    – inglese (ormai non solo necessario, ma dato come prerequisito)

    A questo aggiungo che OVVIAMENTE le performance in tali ambiti dovrebbero essere monitorate di continuo in modo uniforme.

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